I calchi delle vittime di Pompei
A cura di Lisetta Giacomelli.
PREMESSA
Osservando alcuni calchi delle vittime di Pompei ci si chiede come possano dei corpi inglobati nelle ceneri dei flussi piroclastici essere così composti, al punto da ricordarci la frase che Plinio il Giovane usò per descrivere il cadavere dello zio sulla spiaggia di Stabia “simile a colui che dorme.”

Calco che riproduce un corpo in posizione composta, con tracce di abiti. Eseguito all’esterno di Porta Nocera nel settembre 1956.
I calchi si possono vedere esposti nel sito o nelle fotografie eseguite al tempo dello scavo, pubblicate in diversi lavori archeologici. In alcuni corpi è stato ravvisato un irrigidimento degli arti per effetto dello spasmo cadaverico, la rigidità istantanea dovuta a cause improvvise, che precede il naturale processo del rigor mortis, e che potrebbe essere imputata all’alta temperatura dei prodotti vulcanici. Altri corpi denotano un affanno nella respirazione, per quanto il passaggio della nube piroclastica che li ha colpiti pare sia stato così veloce che non avrebbe avuto il tempo sufficiente per produrre soffocamento (G. Mastrolorenzo et al, 2010).
Se le posizioni innaturali e contorte delle vittime lasciano intuire situazioni estreme di temperatura, forse anche con il concorso di un’aria irrespirabile, i casi che trovano più difficile spiegazione, fino al punto di dubitare della fedeltà del calco, sono i corpi adagiati, composti, con pieghe nel tessuto degli abiti ordinate, piedi ancora calzati, persino tracce di capelli.
La radiografia del calco originale permetterebbe di constatare se lo scheletro racchiuso nel gesso (Lazer E., 2009) abbia sintomi anche lievi di contrazione, come la flessione delle dita che spesso si perde nel calco. Sfortunatamente, per molto tempo, al fine di ottenere una riproduzione perfetta, le ossa vennero prelevate dalla cavità prima di versarvi il gesso e sostituite con aste di metallo per tener congiunte le estremità (M. Osanna, 2019, pag. 316, E. Lazer et al, 2021, pag. 104). Questo metodo finiva sovente per distruggere anche le poche ossa che non erano state tolte. Inoltre, è evidente che alcuni calchi sono stati ritoccati con rifiniture di fantasia, come se si trattasse di perfezionare una statua, tanto che i vari gruppi presentano tratti stilistici molto simili a seconda dell’epoca in cui sono stati eseguiti. Pur tenendo conto, fin dove possibile, delle eventuali alterazioni nell’esecuzione e nella successiva rifinitura della riproduzione in gesso, la posizione reale del corpo non può essere stata, in ogni caso, completamente alterata.

Dettaglio di un calco eseguito durante gli scavi del 1956/7 a Porta Nocera. Il fuggiasco aveva il capo appoggiato sulle mani e le gambe divaricate.
Ogni conclusione che si può ricavare dalle diverse posture delle vittime è condizionata anche dal fatto che, tra le oltre mille recuperate a Pompei, numero che potrebbe essere almeno raddoppiato, se comprendiamo quelle perse nel corso degli scavi più antichi e quelle che potrebbero esserci nelle aree ancora non scavate, si possono prendere in considerazione solo i pochi corpi per i quali è stato eseguito il calco. Il numero dei calchi totale è 104 e, di questi, 90 sono stati restaurati nel 2015 (Lazer E. et al, 2021, pag. 102). Il metodo dei calchi in gesso sulle vittime, poi, è stato utilizzato solo a partire dal 1863, oltre un secolo dopo l’inizio degli scavi, quando già molti resti umani erano stati trovati e spesso ignorati. In definitiva, il campione più attendibile che ci consente di osservare le conseguenze dei flussi piroclastici sulle persone si riduce a tre gruppi di fuggiaschi di cui conosciamo esattamente la posizione stratigrafica.
Un ulteriore limite consiste nel fatto che in un solo caso (Casa Stabiano, scavi 1989) esiste ancora l’affioramento completo, unico prezioso testimone rimasto, per quanto ora non accessibile, di una situazione che si presume potesse avere altri esempi. Gli altri due gruppi si trovano nell’Orto dei Fuggiaschi (scavi 1961-2) e nella Casa del Criptoportico (scavi 1914) e di questi si dispone solo di fotografie del secolo scorso, di scarso dettaglio, ma fortunatamente pubblicate in numerosi lavori, anche se per lo più di vari indirizzi nell’ambito dell’archeologia e, pertanto, con molta approssimazione nella descrizione della successione vulcanica.
Quasi tutti gli individui di questi tre gruppi risultano nel calco senza evidenti contrazioni degli arti, con un atteggiamento del corpo in quiete, prevalentemente sdraiato su un fianco, a volte con evidenza di mantelli e tuniche. Sembra di dover escludere le principali cause di morte tipiche dei flussi piroclastici: la presenza di tessuti, gli arti integri e non contratti presuppongono urti meccanici modesti e una temperatura perlomeno non letale; le pieghe degli indumenti e i piccoli utensili spesso rinvenuti accanto ai cadaveri, implicano che densità e velocità della corrente piroclastica non erano sufficienti nemmeno a scomporre gli abiti o a dislocare oggetti leggeri (chiavi, monete, involucri con monili). Troverebbe ancora una giustificazione la morte per soffocamento, considerando che il pulviscolo più fine e leggero, quello che avrebbe potuto causare serie difficoltà respiratorie, resta in sospensione anche dopo il passaggio del flusso e anche che più flussi sono avvenuti in rapida successione, determinando, se non la morte immediata, un prolungato inquinamento dell’aria. Inoltre, il tempo per il decesso da ingestione di cenere si prolunga se l’aria inspirata è filtrata da un tessuto, come il mantello che si vede portato sul volto in diversi calchi.

I poderi Casa Stabiano (a sinistra) e l’Orto dei Fuggiaschi dove sono stati trovati due gruppi di vittime.
OSSERVAZIONI
La coincidenza più importante che emerge dal confronto con l’unico sito completo, Casa Stabiano, e le fotografie degli altri due siti, è che i tre gruppi di individui giacciono sopra lo strato di pomici, a sua volta coperto da un paio di sottili livelli di ceneri. È possibile che proprio quella cenere consentisse loro di camminare, perché circa tre metri di pomici, benché fredde o quasi, peraltro nemmeno compattate dal peso del materiale soprastante, avevano una consistenza confrontabile con uno strato di tre metri di argilla espansa o ghiaia grossolana, nel quale si affonda o, nella migliore delle ipotesi, si procede molto a fatica.
Il ritrovamento di Casa Stabiano venne così descritto: Alla fine di agosto del 1989 fu scoperto (…) un gruppo di dieci vittime, nello strato di cenere ad una altezza di circa 2,50 metri dal piano di calpestio antico, di cui si riuscì a farne il calco di nove lasciati in situ con adeguata copertura; (Nappo S.C. 1998, pagg. 16-18; De Carolis E. e Patricelli D., 2018, pag. 105). Una undicesima vittima, di cui non venne fatto il calco perché la cavità era stata schiacciata durante lavori precedenti, si trovava nel vicolo accanto.
Quando il sito era accessibile, si è potuto osservare direttamente che i corpi erano distesi, uno quasi a proteggere il vicino, con le stoffe degli abiti ben visibili, gli arti privi di contrazioni. Lateralmente, in un blocco di cenere, si vede uno scheletro. Sia sopra questo che sopra i calchi, a un’altezza variabile, ma contenuta in qualche decina di centimetri, vi sono pali, tegole, materiale edilizio trascinati dai flussi piroclastici successivi alla morte. È escluso che tali oggetti appartenessero a una tettoia sotto la quale si fossero rifugiati gli individui, perché lo strato di materiale vulcanico sotto i corpi dimostra che il luogo era all’aperto. Resta difficile spiegare, specie senza avere a disposizione la stratigrafia completa e dettagliata di quel preciso punto, come altri flussi, per quanto successivi e con caratteristiche differenti da quelli letali, possano aver trasportato materiale così abbondante e pesante senza sconvolgere i corpi che già giacevano a terra. Anche l’ipotesi di una pausa dell’eruzione (Scarpati C. et al, 2020), o almeno di una momentanea interruzione dei flussi verso Pompei, sufficiente a consentire che la cenere rimasta in sospensione si depositasse a sigillare i corpi e a ripararli dalle violente ondate successive, sarebbe verificabile solo con l’affioramento completo e intatto.

Lo strato di pomici di Casa Stabiano sopra il quale si trovano i calchi.

I calchi di Casa Stabiano giacciono sopra un sottile livello di cenere che chiude lo strato di pomici. Nella fotografia a destra si vede uno scheletro inglobato nei prodotti dei flussi. Le ceneri sopra lo scheletro terminano con il calco di un palo, ma le strutture del flusso non sono interrotte.

I calchi nel sito di Casa Stabiano e l’abbondante materiale soprastante, pali e tegole.

I corpi sono appoggiati direttamente su un sottile livello di cenere, mentre i pali sono inglobati in uno strato successivo.
Le tredici vittime trovate nell’Orto dei Fuggiaschi, un podere parallelo a quello di Casa Stabiano, rispecchiano nei calchi la stessa situazione. Alcuni adulti sembrano addormentati, i bambini ricordano i loro coetanei quando riposano tranquilli in un lettino, due sembrano avere un gesto consueto, con il pollice quasi vicino alla bocca. Un solo corpo ha un movimento diverso, con il braccio destro piegato e appoggiato sulla cenere. Si intuisce un tentativo di alzarsi, lo sforzo del busto sollevato, sicuramente una morte più lenta. I corpi giacciono in posizione naturale e i calchi non riproducono importanti contrazioni alle mani o ai piedi, anche se le fotografie fatte nelle fasi successive al recupero evidenziano sostanziosi lavori di restauro proprio alle estremità. Le scarse tracce di indumenti potrebbero essere conseguenza del metodo usato da Amedeo Maiuri, sovrintendente durante gli scavi dell’Orto dei Fuggiaschi, che ripuliva con cura la cavità lasciata dal corpo nella cenere con un lungo cucchiaio, prima di versarvi il gesso (A. Maiuri, 1961, pag. 659).

Il gruppo di calchi provenienti dall’Orto dei Fuggiaschi.

Il calco di una vittima dell’Orto dei Fuggiaschi rappresenta in maniera evidente il tentativo di sollevarsi.

Calco di un corpo rannicchiato su un fianco, con le mani sul volto. A destra, due corpi, uno accanto all’altro.

Calco in posizione rannicchiata.

Tre calchi di bambini dell’Orto dei Fuggiaschi: uno giace bocconi, uno adagiato sul fianco destro e uno quasi disteso sulla schiena.

I calchi riproducono bambini che sembrano addormentati.
I calchi eseguiti nel giardino della Casa del Criptoportico appaiono nella posizione originaria solo in vecchie fotografie. Due corpi sono sdraiati con pose naturali, molto vicini, con la testa di uno appoggiata sul busto dell’altro. Un’altra vittima si trova a circa 90 cm di distanza, appoggiata su un fianco e senza segni di contrazioni degli arti. Il Sovrintendente Spinazzola la descrive così: Le sue ginocchia erano piegate e, cadendo, si incrociavano, mentre le mani, portate automaticamente davanti al viso cadendo a faccia in giù, sembrano ancora aggrapparsi al letto caldo di cenere. Il corpo non mostra shock e solo lo stomaco appare un po' gonfio. Le mani, che sono contratte, hanno dita corte: le articolazioni sono molto sottili. I piedi sono piccoli, che, per la prima volta, hanno conservato l'immagine di una scarpa antica. (Notizie degli Scavi di Antichità, 1914, pag. 367). In realtà, la mano che si vede nelle fotografie appare con le dita piegate con naturalezza, più che contratte. La conservazione di parte dell’abbigliamento denota, d’altra parte, una temperatura non elevata, mentre il piede ancora calzato indica che il corpo non aveva subito urti troppo violenti. Un altro calco, in direzione opposta (Nord) al precedente e un poco più distante dai primi due, ma non più di un paio di metri, rispecchia una situazione diversa. La sua posizione è supina, rigida, con gambe e braccia allargate e contratte, le mani chiuse a pugno. Vicini ai piedi di quest’ultimo vi sono due scheletri, uno rannicchiato su un fianco, l’altro sdraiato, con gambe e braccia allungati. Tra il calco e la coppia vi sono altri tre scheletri, due con gambe e braccia piegate e uno che sembra incompleto. Non vi è nessuna informazione sul motivo della mancata esecuzione del calco (al di là del generico non si è potuto eseguire il calco) e forse è solo ipotizzabile che abbia avuto un ruolo la posizione di almeno tre scheletri, inclinata nello strato di cenere, mentre i calchi sono in posizione perfettamente piana.
In questo caso, la presenza di tegole vicino alla testa di ciascuna vittima è stata interpretata come una misura per proteggersi dalla caduta di pomici durante la fuga (De Carolis E., 2003, pag. 326).

Il giardino della Casa del Criptoportico dove è stato trovato un gruppo di fuggiaschi, scappati attraverso le aperture del portico coperto che si vedono in alto nella fotografia, quando le pomici hanno cominciato a riempire il loro rifugio. Foto a destra: dettaglio del calco nella Casa del Criptoportico da cui è evidente la posizione del corpo sopra le pomici e due sottili livelli di cenere, uno in primo piano e uno sotto il corpo (da De Carolis E., Patricelli G., 2003, pag. 60).

Calco di due vittime, una col capo appoggiato sul petto dell’altra, trovate nel giardino della Casa del Criptoportico.
Il sottile spessore di cenere presente sotto i corpi nei tre siti è probabilmente di aiuto anche nell’esecuzione dei calchi, in quanto trattiene il gesso (polvere di marmo alabastrino, in una soluzione relativamente liquida, tranne nel caso di Casa Stabiano, dove venne sperimentato il cemento, peraltro con scarso successo) e non lo lascia percolare nelle pomici, come fa intendere una nota in un quaderno di scavo “non si poté eseguire il calco perché poggiava direttamente sopra il rapillo”. Anche il volto di un calco dell’orto dei fuggiaschi è incompleto, in quanto affondava nelle pomici (P.P. Petrone, 2019, JASs, pag. 71).
Pertanto, la presenza di uno straterello compatto sopra le pomici appare quasi un vincolo per l’esecuzione del calco, particolare che consentirebbe di ipotizzare la posizione dei corpi nella stratigrafia vulcanica anche quando si trova solo la sommaria indicazione che “si rinvennero qualche metro sopra il suolo”. Questo amplierebbe il numero di fuggiaschi che tentarono di porsi in salvo non solo dopo la caduta delle pomici, ma anche dopo i primi collassi della colonna eruttiva, cioè molte ore dopo l’inizio dell’eruzione.
Un altro requisito per ottenere i calchi è che la cenere entro cui si crea il vuoto aderisca perfettamente alla forma del corpo e delle vesti, in modo che risulti un negativo preciso della forma. Pertanto, oltre ad avere corpi inglobati nella cenere, questa deve essere fine e omogenea. Materiale grossolano o poco uniforme, non consentirebbe il dettaglio che osserviamo.
Un noto episodio dà valore a questa ipotesi: nel 1772, vi fu quasi un’anticipazione del metodo per ottenere calchi quando, nella Villa di Diomede, furono scoperte numerose vittime, alcune delle quali avevano lasciato una nitida impronta dei loro corpi su quella che venne descritta come pioggia di cenere con acqua, una specie di fanghiglia di cenere fine consolidata. Tra questi, l’impronta del busto di una giovane donna suscitò grande commozione al Museo di Portici, dove poco a poco si sbriciolò.
Fiorelli sintetizza la scoperta con: Si trovò anche in questo sito la forma di alcuni corpi, ed in particolare di una donna, che si mandarono al Museo, come ancora un teschio con dei capelli (G. Fiorelli, PAH addendum pag. 159, 12.12.1772). La Vega, direttore borbonico degli scavi, la descriveva con dettaglio: L'inondazione di materia liscia dell'eruzione, cenere caduta dopo quella dei lapilli, sarebbe diventata col tempo materia molto tenace, che avrebbe completamente avvolto tutti i corpi. Si rinvennero le ceneri delle vesti, ma queste conservarono la qualità del materiale, che ne aveva circondato la forma, col risultato che risaltavano bene e la rarità della loro trama, e del loro spessore. Per dare qualche prova di quanto si crede di aver osservato, ho pensato di tagliare e conservare ben 16 pezzi di quei segni dei corpi, dove in uno tra gli altri si poteva distinguere il seno di una donna coperto da una veste, e poi su tutti c'erano gli avanzi delle loro vesti, fino a due e tre uno sopra l'altro. Ho anche preso un teschio con diligenza, e tutte queste cose le ho inviate al Museo (G. Fiorelli, PAH 1,1, pagg. 268-270, 12.12.1772). L’ambasciatore William Hamilton, assiduo frequentatore degli scavi e probabilmente presente al momento della scoperta, riporta che il busto femminile si trovava qualche piede sopra il pavimento, nella cenere molto fine (in so fine a powder…deposited in a fluent state) (in W. Gell, ed. 1821, pag. 98, e nota 1).
Si presume che, oltre al materiale fine, perché resti un negativo perfetto, il corpo debba avere una decomposizione lenta, sufficiente a lasciar indurire le ceneri intorno alle carni e agli abiti, circostanza anche questa favorita dalla presenza di un livello di cenere centimetrico e delle pomici sottostanti che consentono un graduale drenaggio dei liquidi corporei. Lo dimostra il fatto che a Ercolano, dove le vittime sono cadute direttamente sul suolo di calpestio e sono venute poi a trovarsi nella falda creatasi alla base dei prodotti vulcanici, non sono stati eseguiti calchi.
Più o meno per lo stesso motivo, sono rari i calchi di vittime trovate in ambienti completamente chiusi, con poche eccezioni, come il gruppo di tre persone rannicchiate su una scala, scoperte nel novembre 1961 nella Casa di Marco Fabio Rufo (VII,16,17-22) o le quattro vittime trovate nel 1974 nel sottoscala della Casa dal Bracciale d’Oro (VI,17,42). Altri due calchi, trovati nell’area della Grande Palestra nel 1939, erano in un ambiente non completamente aperto. Secondo Amedeo Maiuri, che eseguì lo scavo, uno era morto sul pavimento del portico alla prima caduta delle ceneri.Insieme all’altro, si rinvennero verso l’estremità orientale dall'ambulacro meridionale e se ne poté eseguire il calco perché giacenti l’uno e l’altro nello strato alto di cenere. L’individuo di cui ora si vede il calco in posizione seduta era addossato al muro, ginocchioni, accosciato sul terreno, in quella positura di rannicchiamento che si ritrova nei sepolcri neolitici, con la testa ripiegata in avanti, curvata quasi fra le ginocchia. (Notizie degli Scavi di Antichità, anno 1939, fasc. 7-8-9, pag. 165-238 e n 61-62). (Deve essere stata l’espressione la testa ripiegata in avanti ad essere stata fraintesa da quanti sostengono che fosse bocconi, nonostante anche la posizione dei piedi lo contraddica nettamente. In una fotografia del 1939, il calco ha la posizione rannicchiata, non seduto, inclinata contro il muro. -Notizie degli Scavi di Antichità, 1939, pag. 226).
I due calchi hanno atteggiamenti differenti: composto, con il lembo del mantello tirato sul volto, quello che ora appare seduto, con gli arti contratti quello disteso. Anche in questo caso, delle 18 vittime trovate all’interno della latrina della palestra vi sono solo immagini degli scheletri e nessun calco. La latrina, oltre all’apertura verso l’esterno, aveva una porta che si apriva sul portico meridionale della palestra, che risultò sbarrata, evidentemente chiusa da coloro che vi si erano rifugiati, lasciando sotto il portico aperto i due fuggiaschi arrivati in ritardo.

Uno dei calchi più famosi è quello dell’individuo trovato rannicchiato, con mani e lembo del mantello sul volto, nel porticato della Grande Palestra.
Oltre alle 18 vittime nella latrina, nell’area della Grande Palestra vi erano almeno altri 14 scheletri fuori dalla prima porta sul lato Est, 17 sul lato Ovest della piscina e 4 lungo il portico Ovest. Tra questi, un solo calco parziale, un busto inglobato nella cenere, mentre non fu possibile ricavare l’impronta delle gambe, sprofondate nelle pomici.
Poco al di fuori della prima porta del lato orientale della Palestra, quasi ai piedi della scarpata dell’aggere, si mise in luce (dicembre 1936) un gruppo di 14 scheletri dei quali 6 caduti uno sull’altro in uno spazio assai ristretto di terreno, in un viluppo confuso di ossa, e i rimanenti un poco discosti più a nord, giacenti sul primo strato di cenere, quasi tutti caduti bocconi sul terreno; di uno solo di essi (un giovanetto) poté eseguirsi un calco parziale del tronco, trovandosi gli arti inferiori ancora infossati nel lapillo. (Notizie degli Scavi, Anno 1939, Fascicoli 7, 8, 9, pagg. 165-238).

Calco di un maschio adulto trovato in uno stanzino della Villa dei Misteri nel 1909. La descrizione fatta da Amedeo Maiuri (coricato bocconi sullo strato di cenere depositato sul pavimento) è contraddetta poi da si era rifugiato nel suo chiuso stanzino per morire sul proprio giaciglio (Maiuri A., 1967, pp.10-12). In ogni caso, cenere o letto, era separato dal pavimento.
Tra i calchi visibili in esposizione all’interno degli scavi, nonché in numerose repliche in varie mostre (spesso si ha l’impressione che si dimentichi il fatto che non si tratta di solo gesso, ma di veri e propri esseri umani defunti che meriterebbero ancora qualche riguardo), uno dei più composti è quello di un corpo femminile, caduto bocconi in mezzo alla strada nei pressi di Via Stabiana, eseguito il 23 aprile 1875. Il calco riproduce un corpo snello, con il capo appoggiato sul braccio, resti di una treccia annodata in alto e un unico segno di un possibile impatto violento nelle vesti sollevate dalla vita fino alle spalle, forse più propriamente un gesto intenzionale per ripararsi il capo. Considerato un corpo femminile, il calco non contiene ossa utili a dimostrarlo con certezza e la prominenza dell’addome, che fece presupporre fosse incinta, è attribuibile al vestito che, come sul dorso, si era arrotolato anche sotto il corpo (Lazer E. et al., 2021, pag. 111). Poco distante, venne trovato un uomo, supino, con gambe e braccia contratte. Anche questo aveva il mantello tratto all’altezza del petto e i sandali ai piedi. La mano destra sembra ancora voler afferrare il bordo del mantello per coprirsi il volto. Entrambi erano a 4 metri dal suolo, quindi, sicuramente almeno sopra lo strato di pomici (Garcia y Garcia L., 2006, pagg. 192-3).

Calco eseguito in Via Stabiana il 23 aprile 1875. Conserva parte dei capelli legati in alto e degli abiti sollevati fino alle spalle.

Calco di un corpo maschile, eseguito in Via Stabiana il 23 aprile 1875.
Tranne rare eccezioni, all’interno degli edifici pompeiani gli scheletri sono sempre stati rimossi. Le fotografie pubblicate nei lavori archeologici mostrano prevalentemente scheletri adagiati sopra poco materiale cineritico, integri, eccetto nei casi in cui siano stati colpiti dai crolli dell’edificio. Le persone che si erano rifugiate negli ambienti più riparati delle case, o hanno tentato di scappare dopo la caduta di pomici, come nel caso dei tre gruppi sopra descritti, spinte soprattutto da crescenti scosse di terremoto che devono aver accompagnato il collasso della colonna eruttiva, o vi sono rimaste intrappolate, tramortite dal calore o asfissiate dalle ceneri e contemporaneamente, o poco dopo, ferite dai crolli di tetti e muri.
CONCLUSIONI
La considerazione che le pomici dovessero essere sigillate da uno strato di cenere sia per consentire ai pompeiani di camminare, sia per facilitare l’esecuzione dei calchi, lascia ipotizzare che gran parte dei calchi di corpi rinvenuti in ambiente aperto e ora visibili in teche o appoggiati sul suolo, rappresenti individui sorpresi dai primi flussi, dopo la caduta delle pomici. Anche l’enigma dei corpi e delle vesti intatti trova almeno in parte spiegazione nelle esigenze tecniche che consentono l’esecuzione di un calco. Se i corpi devono essere ricoperti da cenere fine e omogenea, questa non poteva che derivare da una nube granulometricamente selezionata, poco densa, che ha colpito, senza particolari urti meccanici, individui già stremati, ansimanti, soffocandoli col pulviscolo che aderiva alla trachea, come dimostrano molte vittime con la bocca spalancata. La compostezza dei corpi e delle vesti fa ritenere che il flusso fosse poco veloce, con scarsa capacità di impatto, mentre i corpi con capelli o stoffe, non lontani da altri che presentano contrazioni degli arti, fino alla nota posizione del pugilatore, testimoniano che la stessa ondata piroclastica aveva una temperatura estremamente variabile anche nell’arco di brevi distanze. Alcuni autori stimano che un corpo assuma una posizione contratta quando rimane esposto a temperature comprese tra 200 e 300°C (P. Baxter, 1990, G. Mastrolorenzo et al., 2010). La morte per shock termico dipende anche dal tempo di esposizione al calore e quello stimato per le vittime di Pompei pare sia stato sufficiente a provocare i decessi, ma troppo breve per respirare cenere fino al soffocamento (G. Mastrolorenzo et al, 2010). Eppure, la temperatura della corrente piroclastica come unica causa di morte sembra contraddetta dai casi non sporadici di vittime prive di contrazioni, oltre che dalla presenza di materiali facilmente deperibili.
La ricostruzione delle fasi eruttive, nota in letteratura (Sigurdsson H. et al, 1985; Cioni R. et al, 2000), ipotizza che i primi flussi scesi verso Ercolano non abbiano raggiunto Pompei e che solo quelli successivi siano riusciti a scavalcare le mura della città. I tre siti citati si trovano nelle aree di Pompei che più sono distanti dalla provenienza dei flussi piroclastici: l’Orto dei Fuggiaschi e Casa Stabiano sono quasi al limite dell’abitato e l’orto della Casa del Criptoportico è a Sud di Via dell’Abbondanza. Gli edifici incontrati e spesso abbattuti prima di arrivare in questi punti possono aver modificato densità, temperatura e violenza dei flussi, causato la formazione e la separazione, dalla base densa di materiale vulcanico, insieme a quello raccolto dal suolo e dagli edifici, della parte superiore composta da cenere (ash cloud surge).
La Villa di Diomede, dove per la prima volta si riconobbero le impronte dei corpi nella cenere, si trova all’esterno di Porta Ercolano, nella zona in cui arrivarono le ceneri più fini staccatesi dai primi flussi scesi massicciamente verso Ercolano, quelle che coprirono un’area più ampia, rispetto alla parte con maggiore densità, ma che non superarono le mura di Pompei. Si giustificherebbe così il materiale fine e omogeneo, dall’aspetto quasi plastico, sul quale sono cadute le vittime.

Calco di una vittima con una posizione poco naturale.
Appare anche necessario che per ottenere un calco si debba avere sotto il cadavere qualcosa che impedisca un disfacimento troppo rapido. Spesso, come si è visto, sono le pomici stesse, in altri casi sono luoghi chiusi, ma con uno strato di cenere sufficiente o una superficie adatta (un letto, ad esempio) a isolare il corpo dal terreno. La situazione limite rimane Ercolano dove i corpi, caduti su un suolo con una permeabilità inferiore a quella dei prodotti piroclastici soprastanti, in tempi relativamente brevi si sono trovati nella falda acquifera. Non si esclude che la temperatura dei flussi sopraggiunti a Ercolano sia stata così alta da aver consumato i corpi e facilitato il processo di rapido e completo disfacimento delle carni (G. Mastrolorenzo et al, 2001b). Le vittime travolte dai flussi piroclastici nel corso di eruzioni osservate in tempi recenti hanno però corpi interi, con posizioni da pugilatore e non, come a Ercolano, scheletri privi di contrazioni termiche e con articolazioni così intatte da indurre a pensare che il materiale vulcanico abbia occupato rapidamente lo spazio lasciato dalle parti molli, bruciate prima ancora che i muscoli potessero reagire al calore (Baxter P., 1990). In ogni caso, i prodotti dei flussi alla base della sequenza eruttiva visibile sulla spiaggia dove giacciono le vittime di Ercolano sono poco adatti a riprodurre il negativo delle forme, perché non sono selezionati granulometricamente e contengono grandi quantità di elementi grossolani, materiale edilizio, legni. Anche nelle scoperte più recenti non è stato eseguito il calco, ma si è recuperato solo lo scheletro.
Purtroppo, la mancanza di affioramenti nella città e la perdita di informazioni stratigrafiche degli scavi antichi, ma non solo di quelli, impedisce di avere maggiori dati e di formulare ipotesi più precise. La variabilità nella concentrazione e nell’impatto delle correnti piroclastiche durante la dissipazione sopra un territorio articolato come quello di un abitato è peraltro nota. La perdita di violenza dei flussi nell’arco di un breve tragitto si riscontra a Pompei nella Casa di Giulio Polibio, dove il muro del peristilio, rimasto intatto, conserva le tracce delle varie ondate di flusso sopraggiunte sopra le pomici (situazione riconoscibile anche nelle fotografie dello scavo del giardino eseguito da W. e S.A. Jashemski nel 1973). La casa è stata riparata dagli edifici a monte e, probabilmente, anche la posizione del muro non perfettamente perpendicolare all’urto ha favorito la sua resistenza. In un edificio vicino (Casa dei Pittori al Lavoro), una parete è ribaltata sopra lo strato di pomici e un sottile livello di ceneri, la stessa sequenza su cui giacciono le vittime dei tre gruppi fotografati.

Il muro del peristilio della Casa di Giulio Polibio. Nelle fotografie dello scavo, lo strato di pomici arriva alla base dei segni scuri orizzontali, corrispondenti ai diversi flussi piroclastici che hanno riempito il giardino.

Casa dei Pittori al Lavoro: il muro, con inserita la grata di una finestra, ribaltato sopra lo strato di pomici e i sottili livelli di cenere dei primi flussi piroclastici passati sopra la città (visibili in primo piano e in alto a destra). Nella stessa posizione si trovano le vittime di Casa Stabiano, Orto dei Fuggiaschi e Casa del Criptoportico. I crolli sono attribuiti al carico di pomici sui tetti e alle scosse di terremoto che hanno accompagnato le fasi più violente dell’eruzione.
Un panorama completo richiede anche qualche considerazione sui calchi di legni sia secchi che verdi. Tra i due materiali vi è differente processo di deperimento, ma in ogni caso vi sono esempi di entrambi da cui sono stati ricavati calchi. Degli alberi vivi sono stati fatti molti calchi delle radici e, in alcuni casi, dei tronchi dai rami al suolo, versando il gesso attraverso ceneri e pomici (ad esempio, Villa Regina a Boscoreale e Villa di Poppea a Oplonti). Viste le regolari cavità che i tronchi lasciano nei depositi, si può immaginare che il riempimento di un vuoto verticale di un’impronta dai bordi compatti, consenta al gesso di solidificarsi senza insinuarsi tra le pomici. Alcuni portoni di grandi dimensioni hanno il calco solo della parte superiore, quella presumibilmente immersa nella cenere (esempio, il portone della Casa di Popidio Montano); altri hanno un calco completo (ad esempio, un battente del portone della Casa degli Augustali; l’ampio portale del negozio I,7,10). Nella Villa dei Misteri si trovano calchi interi di porte e finestre che erano al riparo del portico. Per i mobili, di cui si conoscono numerosi calchi, anche precedenti a quelli eseguiti sulle vittime, non vi sono notizie sulla loro posizione stratigrafica al momento del rinvenimento. Essendo al riparo, è probabile che in diversi casi siano stati sepolti dalla cenere insinuatasi attraverso porte e finestre.

Calco di un corpo che "si rinvenne nel vestibolo d'ingresso della Villa [dei Misteri], e se ne poté ricavare l'impronta parziale degli arti inferiori e del tronco, perché, giacendo rovescio nello strato di cenere a m. 0,60 dal pavimento, la rovina dei materiali precipitati dai piani superiori, aveva sconvolto la stratificazione del terreno" (A. Maiuri, 1967, pagg. 10-12).

Calco intero di un portone chiuso lungo Via dell’Abbondanza (IX,7,10); foto al centro: calco parziale del portone della Casa di Popidio Montano, l’ingresso vicino alla porta precedente, lungo Via dell’Abbondanza. A destra, calco di un armadio nella Casa di Giulio Polibio.

Calchi di porte: uno dei battenti della porta della Casa di Loreio Tiburtino. Il calco completo riproduce i due battenti interi; al centro: calco di una porta sbarrata dall’interno nella Casa dell’Efebo; a destra: calco di parte del battente destro di ingresso alla Casa degli Augustali.

Calco parziale della porta di ingresso della Casa dei Cubicoli Floreali. Al centro: calco della porta del negozio II,3,2 lungo Via dell’Abbondanza. A destra: calco di una porta nel portico Sud della Villa dei Misteri.
Benché non si arrivi a definire con certezza se ogni individuo sia morto per temperatura, soffocamento o concorso di queste e altre cause, il fatto di porre dei limiti alle circostanze necessarie per ottenere un calco, significa anche dedurre indirettamente il contesto stratigrafico, che a sua volta indica il momento del tentativo di fuga della vittima. Se il corpo era sopra le pomici, significa che l’individuo era ancora in vita molte ore dopo l’inizio dell’eruzione, tra la fine della fase a colonna sostenuta e l’inizio dei flussi piroclastici e ancora in grado di muoversi in un ambiente difficile. Più casi vengono riconosciuti all’interno di questa possibilità, maggiore è la forza dell’ipotesi che, con le attuali conoscenze, si possano evitare le conseguenze più gravi.
Disponendo prevalentemente di relazioni archeologiche, per chi non ha assistito allo scavo e non ha a disposizione il materiale fotografico inedito è difficile distinguere quanto c’è di vero in un calco, quanto sia stato aggiunto o ritoccato, nonché risalire a quanto possa essere andato perso nel corso della lunga storia degli scavi, compresi i bombardamenti del 1943. Eppure, la somma di tanti indizi delinea una circostanza di primaria importanza, come la possibilità di salvezza nel corso di una violenta eruzione esplosiva che, solo con maggiori informazioni, potrebbe avere un contorno più preciso.
APPENDICE
CALCHI
(descritti in questo testo)
-Orto dei Fuggiaschi, 1961, 13 calchi
-Casa Stabiano, 1989, 9 calchi
-Casa del Criptoportico, maggio-settembre 1914, 4 calchi su 10 corpi
-Palestra Grande, 1939, 2 calchi e il calco di un busto su 53 vittime trovate nell’area
-Via Stabiana, 1875, due calchi
ALTRI CALCHI
-Casa dei Sette Scheletri o di Teseo o di Gavio Rufo, (12 marzo 1868), in questa casa venne eseguito da Fiorelli il suo quinto calco, esposto in posizione supina, con le braccia sollevate, interpretate come tentativo di fermare la causa della sua morte. Sette scheletri umani furono trovati in questo luogo, uno dei quali bocconi (quindi le dita erano conficcate nei prodotti vulcanici e non rivolte al cielo) ed in atto di supremo sforzo, per emettere il respiro soffocato dalle esalazioni vulcaniche, fu da me rivestito delle forme del suo corpo, ricavandole dalla impronta che vi era rimasta nella cenere (in U. Pappalardo, 2001, pag. 81).
-Casa dei Principi di Russia e Casa di Sirico, sono esposti tre dei primi quattro calchi eseguiti il 3 febbraio 1863 da Fiorelli. Le mani sono contratte; le vesti, ove visibili, non scomposte. La quarta vittima trovata da Fiorelli nel vicolo viene descritta come una donna in stato di gravidanza, ma forse sono solo le vesti arrotolate. I corpi erano in luogo aperto, nel vicolo degli Scheletri, sopra le pomici travolti dalla prima nube ardente. Il primo calco viene descritto da Fiorelli come un uomo caduto nei lapilli, che non conserva l’impronta della schiena ne’ del braccio destro. Il gonfiore dello stomaco è dovuto a un pezzo di cenere che si è staccato nel momento in cui il gesso si rapprendeva (G. Fiorelli, 1877, pagg. 88-89).

Il primo calco di un uomo caduto nei lapilli eseguito da Giuseppe Fiorelli nel Vicolo degli Scheletri nel 1863, ora esposto nella Casa di Sirico.
-Casa di Teseo o Casa dei Sette Scheletri, (12 marzo 1868), sette vittime e un solo calco eseguito di una persona bocconi nella cenere e in posizione contratta.
-vicolo a Nord della Casa di Marco Lucrezio, marzo 1871, calco di un uomo supino, con le mani solo leggermente contratte (Giornale degli Scavi, n. 2, 1871, pag. 281)
-Casa di Accetto e Euhodia, (24 gennaio 1882), calco di una vittima trovata circa 4 m sopra il suolo, con la fronte appoggiata a terra, braccia e gambe incomplete, ma apparentemente in posizione contratta. Vicino, lo scheletro di una donna da cui è stato ricavato il calco solo di un braccio (Notizie degli Scavi di Antichità, 1882, pag. 280)
-Giardino della casa VIII,6,6 (28 dicembre 1882), calco di una vittima supina, quattro metri sopra il suolo, con gli arti leggermente contratti. Il collo irrigidito spinge il capo all’indietro. La bocca semi aperta mostra una dentatura perfetta. Conserva una grossa cintura di cuoio (Garcia y Garcia L., 2006, pag. 194).

Calco di una vittima trovata il 28 dicembre 1882 in un angolo del giardino dell’edificio VIII,6,6. La posizione denota una contrazione per esposizione al calore.
-Casa di M. Fabio Rufo, (novembre 1961), quattro vittime, di cui è stato fatto il calco a tre rannicchiate sulla scala. La copia di un calco resta ancora nella posizione in cui è stata trovata la vittima, tra il primo e il secondo gradino in fondo alla scala, in parte ancora appoggiato nella cenere. Della quarta c’è solo la fotografia. Costituiscono un gruppo di dieci calchi, insieme a quelli eseguiti nella Casa del Bracciale d’Oro e nella Casa di Maius Castricius (De Carolis E. et al., 1998, pagg. 77-78).

La vittima caduta sulla scala della Casa di Fabio Rufo.
-Casa dei Quattro Stili, (1959?), calco di una persona in un cubicolo, come addormentato sopra un giaciglio, il capo appoggiato sul braccio sinistro. Forse la vittima non si trovava in questo edificio e il calco è stato spostato. Due calchi quasi sovrapposti, in cattive condizioni, collocati nel tablino, ma forse anche questi eseguiti altrove. Gli arti, per quanto incompleti, sembrano contratti e in posizioni poco naturali (fotografie nel sito pompeiiinpictures. com).
-vicolo all’esterno della Casa del Criptoportico, (maggio 1915), un calco con arti contratti
-Via dell’Abbondanza, (12 settembre 1933), nei pressi del Vicolo di Venere, un calco di un individuo che giaceva bocconi, con le gambe incrociate, la mano sinistra sotto il volto, il braccio destro ripiegato sulla testa. Sono evidenti le pieghe del tessuto della veste. Nell’avambraccio destro vi è parte di un piede di un secondo individuo, mentre sopra il ginocchio sinistro è rimasta attaccata al gesso una piccola anfora in bronzo (M. Osanna et al, 2021, pag. 381). La posizione del corpo è innaturale.

Calco di una vittima trovata nel Vicolo di Venere nel settembre 1933 e esposto nella Caupona di Ferusa, un locale scavato due anni dopo l’esecuzione del calco. La posizione originaria del corpo era a faccia in giù. Nonostante la vittima non abbia una posizione naturale, le pieghe dell’abito sono composte intorno al corpo.
-Casa del Bracciale d’Oro, (1974), quattro calchi di persone cadute ai piedi della scala che scendeva al giardino. Si tratta di due adulti e due bambini, di cui uno sollevato dalle braccia di una persona adulta (la stessa che aveva al polso il bracciale che dà il nome alla casa). Sia la posizione dei corpi che le estremità denunciano contrazione per effetto del calore del materiale vulcanico, per quanto i calchi abbiano subito consistenti ricostruzioni e restauri. La documentazione si limita a alcune fotografie del 1974 (Mastroroberto M., 2003, pag. 401, note 17 e 40).

Calco di due persone, una donna con un bambino sollevato tra le braccia. Il calco rivela una parziale ricostruzione del busto del bimbo.

La figura maschile del gruppo di quattro vittime trovato all’interno della Casa del Bracciale d’oro.

Calco del bambino caduto a pochi metri dagli altri tre corpi. I quattro calchi hanno braccia e mani contratte.
-Vicolo del Menandro, calco di uno scheletro umano, giacente supino, eseguito nel maggio 1915. La posizione del corpo, con braccia e gambe allargate sembra innaturale e contratta (Notizie degli Scavi di Antichità, 1915, pag. 288)
-Esterno di Porta Stabia, quattro calchi eseguiti nel 1889-90. Il 12 agosto 1889 venne fatto il calco di un uomo sdraiato sul fianco sinistro, con i palmi delle mani chiusi, ma non contratti. Il capo consiste praticamente nel solo teschio, è leggermente sollevato e girato all’indietro. La forma risultò così dettagliata che nelle fotografie riportate da F. Niccolini, 1890, Le Case e i Monumenti di Pompei, Vol. 3, tav. III), si vedono i genitali coperti con una foglia. Nello stesso scavo venne fatto il calco di una donna che era caduta bocconi sul terreno, con le braccia alzate e i pugni serrati. Viene normalmente esposto a faccia in su, forse per lasciar vedere la smorfia del volto. Un altro calco eseguito all’esterno di Porta Stabia il 12 marzo 1890 riproduce il corpo di un maschio con mantello e calzoni corti e un sandalo al piede destro. Nell’insieme, la posizione del corpo non sembra particolarmente alterata da impatto termico o meccanico, ma i polsi ripiegati e il collo allungato all’indietro, come in un ultimo tentativo di respirare, lascia supporre che, qualora non sia morto per il calore della cenere, lo sia per quella che si attaccava alla trachea, fino al soffocamento (Notizie degli Scavi di Antichità, 1890, pag. 128). La posizione all’indietro del capo si riscontra anche in altri calchi.
Un’altra vittima era dieci metri oltre la porta cittadina. Il calco venne eseguito l’11 ottobre 1889. L’uomo giaceva supino, con le mani incrociate sul petto e la veste arrotolata dai fianchi in su. Non vi sono segni di contrazioni nervose, anche se la fotografia fatta durante gli scavi mostra un calco che differisce da quello visibile successivamente, specie nella posizione delle mani.

Vittima trovata l’11 ottobre 1889 all’esterno di Porta Stabia. Era a faccia in giù, con le braccia distese in avanti e le vesti strappate.

Calco della vittima trovata il 12 marzo 1890 all’esterno di Porta Stabia, nella cenere. Il corpo era sdraiato sul fianco sinistro, era coperto da un mantello fino al ginocchio e aveva parte di un sandalo al piede destro.
-Esterno di Porta Nola; 21 vittime di cui:
- settembre 1908, un calco eseguito appare in posizione contratta. Si rinvenne, nello strato di cenere in posizione supina. Eseguitosi subito il getto del gesso nel vuoto lasciato dal cadavere si ottenne un soddisfacente risultato. In una sinuosità del lato destro, fra il torace e l'addome, nel quale non penetrò il gesso, si rinvennero i residui di una borsa di stoffa piuttosto grossolana (Notizie degli Scavi di Antichità, 1910, pag. 397).
- dicembre 1911, calco di una persona aggrappata a un ramo, adagiato sulla schiena e con il capo poco lontano dalle ginocchia, una posizione contratta, sia per la prevedibile caduta dall’albero, quanto per il calore del flusso piroclastico che lo ha investito.
- agosto 1976, calco di un corpo sdraiato sul fianco sinistro e apparentemente in posizione rilassata; ha però una mano stretta a pugno.
- tra 1976 e 1979, altri 15 corpi nei pressi della Tomba di Obellio Firmo, caduti nello spazio di pochi metri l'uno dall'altro. Giacevano nelle più varie posizioni, sul dorso, su un fianco, a faccia in giù e conservavano impressionantemente nella tensione delle membra, dei gesti e nei volti l'immagine drammatica degli spasimi della morte (De Caro S., 1979, pagg. 99-101). Alcune fotografie scattate durante gli scavi mostrano i corpi con arti contratti e uno con la bocca aperta in una smorfia di dolore. Non è possibile dalle fotografie pubblicate nel 1979 definire con certezza la posizione delle vittime, ma i calchi sembrano trovarsi al di sopra dello strato di pomici. Una testimonianza diretta (R. Scandone) ricorda di aver visto i corpi in tale posizione.
-Porta Nocera, (settembre 1956), tre calchi. L’anno successivo venne eseguito il calco di un quarto fuggitivo. Solo una vittima ha le braccia alzate in maniera poco naturale.

Calchi di tre vittime trovate all’esterno di Porta Nocera nel settembre 1956.
-Porta Capua, (2002), calco di un corpo con ceppi alle caviglie, rinvenuto bocconi, con il braccio sinistro piegato che spinge sul terreno come a volersi sollevare. La posizione è naturale e composta (foto e bibliografia in pompeiiinpictures.com).
-Officina Coriariorum di M. Vesonio Primo (I,5,2-3), (25 settembre 1873), vicino alla porta di entrata, calco di un uomo che si sdraiò per terra e lì cadde tranquillo nel suo sonno eterno. È uno dei calchi più composti (Fiorelli, 1875, pagg. 452-53; E. De Carolis, G. Patricelli, 2003, pag. 58).

Calco di una vittima trovata nel 1873 in una parte dell’edificio già in disuso al momento dell’eruzione. La posizione del corpo e l’espressione del volto rispecchiano una morte non traumatica.
-Casa di Vesonio Primo (VI,14,20), (20 novembre 1874), calco di un cane; l’animale era riuscito a salire sopra le pomici, contorcendosi per liberarsi dalla catena che lo teneva legato all’ingresso della casa. Il calco non ha ossa all’interno, (all’epoca venivano estratti con lunghe pinze per ottenere un calco più uniforme). Il corpo dell’animale, vistosamente contratto, è il risultato dell’assemblaggio di sei pezzi o di una serie di restauri (Lazer E. et al, 2021).

Uno dei calchi più espressivi dell’effetto traumatico dei flussi piroclastici sugli esseri viventi.
-Villa dei Misteri, (1909-10) due calchi:
- uno in posizione composta, lo si rinvenne coricato bocconi sullo strato di cenere depositato sul pavimento d'un buio e basso stanzino (…) dove si era rifugiato per morire sul proprio giaciglio (…) e vi era rimasto coricato sul fianco destro, le braccia portate in alto per appoggiarvi il capo. Vi sono evidenti segni degli abiti e delle calzature.
- un’altra vittima venne trovata nel vestibolo d'ingresso della Villa e se ne poté ricavare l'impronta parziale degli arti inferiori e del tronco, perché, giacendo rovescia nello strato di cenere a m. 0,60 dal pavimento, la rovina dei materiali precipitati dai piani superiori, aveva sconvolto la stratificazione del terreno. (…) Il torace (era) proteso e sollevato dall'ultimo ansito della respirazione. Nell’insieme, la posizione del corpo è contratta.
Nella villa vennero trovati altri corpi: un gruppo di cinque scheletri di persone cadute dal piano superiore e quattro nel rifugio del criptoportico che si rinvennero a fiore del terriccio che le acque avevano fatto colare all'interno (A. Maiuri, 1967, pagg. 10-12).

Calco di una vittima di cui non si conosce l’ubicazione e la data di esecuzione. Il corpo presenta contrazioni nella postura del capo e nelle mani.
SCHELETRI
-Villa di Diomede (12 dicembre 1772), 12 corpi con la forma impressa nella cenere (De Carolis E. et al., 1998, pag. 75).
-Casa del Menandro (29 aprile 1931) 16 scheletri:
- tre accovacciati sul pavimento dell’oecus con le gambe ripiegate verso il petto (Stefani G., in Storie da un’eruzione, 2003, pagg. 358-361), uno con la bocca spalancata. Dalla fotografia degli scavi le ossa emergono da uno strato di cenere abbastanza consistente.
- dieci scheletri erano ammassati in un angolo del corridoio, m 2,50 sopra il pavimento e altri tre si trovavano nella parte alta dei prodotti vulcanici, appena un metro sotto l’attuale piano campagna (Maiuri A., 1986; Stefani G., 2003, pag. 360).

Gli scheletri trovati nel corridoio della Casa del Menandro sono raccolti in una teca all’interno dell’edificio. Con le ossa vi sono una zappa e un piccone, trovati accanto alle vittime, ai quali sono stati aggiunti i manici in legno, visibili a sinistra della fotografia.
-Casa del Fabbro (6 gennaio 1933), due scheletri, un adulto e un giovane, nel triclinio; lo scheletro della persona adulta aveva le gambe distese e il bacino sul pavimento, mentre era aggrappato con la parte superiore del corpo alla sponda del letto; quello più piccolo era ai piedi del letto, con le braccia contratte sotto il capo e le gambe piegate. (Giornale degli scavi, 6 gennaio 1933; Notizie degli Scavi di Antichità, 1934, pag. 286; G. Bonifacio, 2003, pag. 370). Dalla fotografia sembra che anche il secondo scheletro appoggi braccia e capo alla stessa altezza dell’altro.

Immagine del 1934, riportata in Notizie degli Scavi di Antichità, degli scheletri lasciati all’interno del triclinio.
-Casa del Primo Piano (1952-55), uno scheletro contro la parete di una stanza. Dalle fotografie eseguite durante lo scavo, lo scheletro si trova sopra uno strato di materiale vulcanico che copre lo zoccolo dipinto sulla parete, stimabile alto circa 50 cm (foto Jashemski W. e S., 1968).
-Casa di Saturnino (1960), tre scheletri all’interno dell’edificio (J. Packer, 1978, in Cronache Pompeiane, IV, pagg. 18-24; F. Miele, La Casa a Schiera I,11,16, in Rivista di Studi Pompeiani, vol. 3, 1989, L’Erma di Bretschneider, pagg. 165-184).
-Corridoio dell’accesso Nord dell’Anfiteatro, (29 dicembre 1814), due scheletri (PAH III, 1).
-Area della Grande Palestra, (1935-39), sette corpi nelle pomici e 68 nella cenere tra cui:
-14 vittime in due gruppi di sei e otto individui (dicembre 1936);
-17 vittime (15-17 aprile 1937);
-16 vittime contro una parete e due isolate (2 calchi descritti nel presente testo)
(Notizie degli Scavi di Antichità, 1939, Fasc. 7-8-9, pagg. 165-238; De Carolis E., 2003, pagg. 378-79);
-Casa del Giardino di Ercole (1953-54), due scheletri accanto al triclinio estivo, con strumenti medici e altri oggetti (Jashemski W.F., 2014, pag. 193).
-Caupona di Asylus (1° aprile 1903), due scheletri 1 m sopra il suolo, nei lapilli. (Notizie degli Scavi di Antichità, 1905, pag.275; G. Luongo et al, 2003, pag. 185).
-Casa dei Pilastri Colorati (27 dicembre 1902), uno scheletro nell’ingresso, (Notizie degli Scavi di Antichità, 1905, pag. 280; G. Luongo et al. 2003, pag. 185).
-Fullonica V,3,1 (1902), resti disordinati di uno scheletro (Notizie degli Scavi di Antichità, 1902, pag. 381).
-Casa con Giardino (2020), in una stanza 11 scheletri disordinati da precedenti ispezioni. Uno ha la testa schiacciata da una tegola per un evento successivo alla morte (notizie tratte dal sito del PAP dell’aprile 2020 e dalla stampa).
-Termopolio V,3 (2020), almeno due scheletri smembrati, forse per intervento di antichi scavi clandestini e uno scheletro intero di un cane adulto ma di piccole dimensioni (notizie tratte dal sito del PAP dicembre 2020 e dalla stampa).
-Casa di un Flamine, 1899, uno scheletro umano e ossa animali nell’atrio (Notizie degli Scavi di Antichità, 1899, pag. 144).
-Casa di Marco Lucrezio Frontone (1899), 8 scheletri in una stanza con accesso dal corridoio dell’entrata V,4,11 (pompeiiinpictures.com).
-Casa di M. Samellius Modestus o Casa degli Ori (1° maggio 1902), 4 scheletri forse uccisi dall’incendio e successivo collasso del pavimento della stanza soprastante quella in cui si erano rifugiati (Notizie degli Scavi di Antichità, 1902, pag. 276).
-Casa di Eutychus (1835), uno scheletro nel peristilio, sopra i lapilli (M. Della Corte, 1965 pag. 44).
-Casa di Cinnius Fortunatus (26 giugno 1897 e 17 giugno 1899), due scheletri all’interno di stanze (Notizie degli Scavi di Antichità, giugno 1897, pagg. 272-3 e Notizie degli Scavi di Antichità, giugno 1899, pag. 235).
-Edificio senza nome (VI,15,23),
- (23 giugno 1897) uno scheletro in un piccolo ambiente (Notizie degli Scavi di Antichità, giugno 1897, pag. 272);
- (4 novembre 1900) uno scheletro nell’ala nord (Luongo G. et al., 2003, pag. 186);
- (8 e 22 giugno 1899) nell’oecus, due coppie di scheletri (Notizie degli Scavi di Antichità, giugno 1899, pag. 235).
-Termopolio con appartamento (VI,16,12); (2 ottobre 1903), un teschio senza scheletro dietro il banco di mescita (Notizie degli Scavi di Antichità, 1908, pag. 61).
-Casa di C. Vettius Firmus (26 agosto 1904), uno scheletro in un cubicolo (Notizie degli Scavi di Antichità, 1908).
-Casa di Gavio Rufo o dei Sette Scheletri (VII,2,16), (12 marzo 1868); sette vittime, da cui si è ricavato un solo calco, mancante di una gamba dal ginocchio in giù, di un corpo che giaceva bocconi, con braccia e mani contratte. Sono stati trovati sette scheletri, ma sei di loro non avevano lasciato abbastanza impronte nella cenere per fare un buon calco in gesso (Garcia y Garcia, L., 2006, pag. 190). Il calco ha avuto successo solo in parte poiché la cavità era stata infiltrata da lapilli e questo ha lasciato il cranio e la gamba sinistra scoperti (Dwyer E., 2010, pag. 80).
-Casa di Romolo e Remo, tre scheletri umani e uno di un cane, nell’oecus, (Della Corte M., 1965, pag. 218).
-Casa di V. Popidius o delle Colombe (1838), uno scheletro in una piccola stanza nel retro della casa (Breton, E., 1870, pag. 456).

Breton riporta il disegno di “uno scheletro adagiato sul dorso e lasciato al suo posto, semisepolto nella cenere; l'osso frontale è rotto e il braccio sinistro è staccato dalla spalla”.
-Casa della Regina Carolina (1813), rimuovendo 18 pollici (circa 50 cm) di materiale, si scoprì uno scheletro appena coperto di materiale vulcanico, che si trovava dieci piedi (3 metri) sopra l’antica pavimentazione. (…) Diversi scheletri sono stati trovati fuori dalla porta, alcuni piedi sopra l’antico suolo; da cui si deduce che abbiano lottato un po’ prima di cadere (Gell W. e Gandy J., 1852, pag. 194; testo e nota 1).
-Forno e abitazione di P. Aemiluis Gallicus (17 marzo 1882), due scheletri di una donna e un bimbo in una cella riparata (Notizie degli Scavi di Antichità, 1882, pag.281); il 20 maggio altri due scheletri (Notizie degli Scavi di Antichità, 1884, pag. 186).
-Caserma dei Gladiatori, numero imprecisato di scheletri con i ceppi di ferro e 4 scheletri senza ceppi in una stanza del lato Ovest (Gell W. e Gandy J., 1852, pag. 249).
-Teatro Grande e Portico dei Teatri (1766-1768); 38 scheletri, di cui quattro accanto a ceppi di ferro (De Carolis E. et al, 1998, pag. 75).
-Casa di Marco Lucrezio o delle Suonatrici (1849 ca.), uno scheletro sulle scale a fianco del tablino (Dyer T., 1868, pag.85).
-Terme Centrali (2019), scheletro di un bimbo non in giacitura primaria (cartellonistica del PAP all’interno del sito).

Calco di scheletro nelle Terme Centrali.
-Casa di Achille o Casa della cuccia del Cane (IX,5,2) (1877)
-Casa di Oppius Gratus (1878), scheletro nel triclinio, (M. Della Corte, 1965, pag. 163)
-Casa del Vinaio (13 febbraio 1888), uno scheletro nel giardino (Notizie degli Scavi di Antichità, 1888, pag. 525)
-Casa dei Casti Amanti, 4 scheletri di animali usati per le macine del panificio (in loco).

Calchi di animali nella Casa dei Casti Amanti.
-Casa di Giulio Polibio; 12 scheletri, dieci all’interno di due stanze e due nel peristilio. Almeno due hanno la bocca spalancata e, accanto, una bottiglia di vetro intatta (M.O. Auricchio, 2001, pagg. 237-38 e 278-79)
-Casa di Casellio Marcello (18 e 20 novembre 1869), nove scheletri con gioielli (U. Pappalardo, 2001, pag. 144)
-Casa di Obellio Firmo
-(23 marzo 1911) uno scheletro all’interno di un cubicolo (Notizie degli Scavi di Antichità, 1911, pag. 218);
-(settembre-ottobre 1911), sei scheletri, distesi sopra uno strato irregolare di cenere, nell’ingresso della casa. Avevano scavato un tunnel attraverso la parete occidentale delle fauci (corridoio di ingresso), facendo un grande foro, che collegava il corridoio con le stanze più piccole sul lato ovest. Sfortunatamente, i lapilli si erano probabilmente già accumulati contro il portale d'ingresso di IX.14.2 dalla via di Nola (la porta era pertanto chiusa durante l’eruzione). I lapilli erano già entrati anche nell'atrio dal compluvio e avevano sigillato la via d'uscita dal corridoio (Notizie degli Scavi di Antichità, 1911, pag. 372).
BIBLIOGRAFIA
Auricchio M.O., 2001, La Casa di Giulio Polibio, Giornale di scavo 1966/78, Edizione Centro Studi Arti Figurative, Un. di Tokio, pagg. 307
Baxter P., 1990, Medical effects of volcanic eruptions: Main causes of death and injury, Bull. Volcanol., 52, pagg. 532–544.
Bonifacio G., 2003, La Casa del Fabbro, in Storie da un’eruzione, Electa, pagg. 368-376
Breton, E., 1870, Pompeia, Guide de visite a Pompei, 3^ ed. Paris, Guerin, (in rete sul sito mediterranees.net)
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Altre fonti e siti web:
Rivista di Studi Pompeiani, L’Erma di Bretschneider Ed.
Notizie degli Scavi di Antichità, (1882-1888-1890-1897-1899-1902-1905-1908-1910-1911-1914-1915-1934-1939) disponibili in rete: archive.org
Giornale degli Scavi (1871 - 1933)
patrimonio.archiviodistatonapoli.it
pompeiiinpictures.com
sites.google.com, AD79eruption