Valanghe ardenti, pseudocolate, deposit-derived PDCs: cosa succede se frana materiale vulcanico incandescente?
a cura di Federico Di Traglia, Danilo Di Genova, Emanuele Intrieri, Claudia Romano, Alessandro Vona
Il 3 giugno 2018, tra i 15 e i 30 milioni di m3 di depositi vulcanici accumulati in circa 5 anni di attività eruttiva, sono franati e hanno generato almeno 4 correnti piroclastiche lungo una valle che percorre il fianco sud-est del Volcan de Fuego, in Guatemala. Le correnti piroclastiche hanno distrutto circa 750 edifici in aree localizzate entro 8.5 km dal vulcano e provocato la morte o la scomparsa di almeno 332 persone (con stime indipendenti fino a 2900 tra morti accertati e dispersi). La fase eruttiva più violenta ha avuto inizio il 3 giugno 2018 con l'aumento della sismicità (3:00 ora locale), seguita da forti esplosioni (6:00 ora locale), che sono aumentate di intensità fino a raggiungere il picco con formazione di una colonna eruttiva alta tra i 16 e i 19 km, associata a dispersione di cenere fino a circa 40 km verso NW e NE rispetto al vulcano. In questa fase sono state osservate le prime correnti piroclastiche direttamente generate dall'attività esplosiva. Dopo circa un'ora (circa 14:20 ora locale), le correnti piroclastiche generate dal franamento del materiale accumulato nelle zone sommitali del vulcano hanno cominciato a mettersi in posto in una fase di progressivo ridimensionamento della colonna eruttiva. Tra le 15:00 e le 15:30, tre correnti piroclastiche sono state direttamente osservate e rilevate dai sensori sismici.
Figura 1. Il fianco sud-orientale del Volcan de Fuego, in Guatemala. In alto è possibile osservare la zona di distacco del materiale incandescente che ha generato le correnti piroclastiche il 3 giugno 2018 (Foto: Rosella Nave).
Oltre agli episodi del 2018 al Volcan de Fuego, queste valanghe incandescenti sono state documentate in molte altre occasioni, ad esempio durante l'eruzione del 1975 del vulcano Ngauruhoe in Nuova Zelanda, durante gli eventi eruttivi degli anni ’90 al vulcano Arenal in Costa Rica, durante l’eruzione del 2006 del vulcano Tungurahua in Ecuador, o ancora al vulcano Fuego durante l’eruzione del 1974. Depositi associabili a questi fenomeni sono stati anche ritrovati nelle sequenze sedimentarie sui fianchi del vulcano Fuji in Giappone e del vulcano Rincon de la Vieja in Costa Rica.
In Italia sono stati descritti durante le eruzioni del 1822 e del 1944 del Vesuvio e le eruzioni del 1930 e del 1944 dello Stromboli. Nel 1823, Teodoro Monticelli e Nicola Covelli riportano le osservazioni fatte in merito all’eruzione del 1822 del Vesuvio. I due naturalisti riportarono che il franamento del bordo del cono del Vesuvio generò una corrente di “lava a rottami incoerenti” che raggiunse le zone a monte dell’abitato di Terzigno, descrivendo il deposito come “un aggregato incoerente di grandi e piccole zolle di lave e di scorie mescolate ad una sabbia rossa di varia grana”.
Figura 2. Gouache rappresentante il franamento del bordo del cratere a seguito dell'eruzione del 1822. Collezione dell'Osservatorio Vesuviano.
Domenico Abbruzzese, descrivendo l’evento eruttivo del 11 settembre 1930 dello Stromboli riporta che “la popolazione si accorse che due torrenti di materiale infuocato scivolavano per i torrenti di S. Bartolo e di Piscità. Il primo si fermò a poche diecine di metri dalla Chiesa di S. Bartolo, mentre il secondo arrivò fino al mare, formando un piccolo promontorio, che il giorno 15 era largo metri 20 e lungo metri 25, a partire dalla linea di spiaggia; gli abitanti assicurano che era molto più esteso e che buona parte di esso era stato abraso dalle onde. In un primo tempo gli abitanti credettero che si avanzasse una colata di lava, ma ben presto si accorsero che trattavasi di una enorme quantità di detriti roventi che il vento riversò a Nord-Est”.
Per quanto riguarda l’eruzione del 1944 del Vesuvio, Giuseppe Imbò, che all’epoca ricopriva l’incarico di Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, ha descritto la formazione delle prima valanghe di materiale incandescente lungo i versanti: “La ricaduta dei lacerti lavici e delle scorie sulla parte terminale dell’edificio vulcanico ed in particolare sulla piattaforma craterica dette spesso origine per agglutinamento alla formazione di pseudocolate che riversantisi prevalentemente sui bordi del cratere solcarono i fianchi del Gran Cono, spingendosi anche fino alla base di questo. Una imponente pseudocolata, osservata lungo il pendio WSW del Gran Cono, si spinse fino alla quota di circa 700 m, sovrapponendosi a colate precedenti”.
Figura 3. Foto del Gran Cono del Vesuvio ripreso da aereo durante l’eruzione del 1944 dalla quale è possibile osservare le zone di distacco e gli accumuli delle correnti piroclastiche che si sonogenerate dal franamento del materiale vulcanico incandescente depositato durante la fase delle “fontane di lava”.
Fenomeni di franamento di porzioni dei bordi craterici sono stati osservati frequentemente a Stromboli, in concomitanza con eventi effusivi, come nelle fasi iniziali delle eruzioni del 2002-03, 2007 e 2014, o in corrispondenza dell’inizio di trabocchi lavici, come avvenuto nel 2013, 2021 e 2022. Anche sull’Etna si sono verificati franamenti di parti dei coni sommitali, che hanno generato correnti piroclastiche nel 1998, 2006, 2014 e più recentemente in più occasioni durante le eruzioni parossistiche avvenute tra il 2020 e il 2022.
L’eruzione del 2018 del Volcan de Fuego ha mostrato la capacità distruttiva delle correnti piroclastiche generate dal franamento di depositi vulcanici incandescenti, le quali possono muoversi fino a diversi chilometri dalle aree di distacco, mantenendo temperature estremamente elevate, rappresentando così un rischio significativo per le aree circostanti.
Oggi, in occorrenza del sesto anniversario dell’eruzione 2018 del Fuego, prende il via la scuola internazionale “EXPERIMENTAL, ANALYTICAL AND NUMERICAL APPROACH TO VOLCANIC ROCK FAILURE AND DEPOSIT-DERIVED PDCS FORMATION”, che si terrà presso il Dipartimento di Scienze dell’Università degli Studi “Roma Tre”, organizzata in collaborazione tra l’Università degli Studi “Roma Tre”, l’Università degli Studi di Firenze, l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e l’Istituto di Scienze, Tecnologia e Sostenibilità per lo Sviluppo dei Materiali Ceramici del CNR. La scuola fornirà le basi teoriche e pratiche per la comprensione dei fenomeni che portano al franamento dei depositi vulcanici che si trovano ancora ad alta temperatura, considerando l'effetto di diversi fattori come la granulometria e il grado di saldatura del materiale, la pendenza dei vulcani e degli accumuli di materiale, o il ruolo della spinta prodotta dal magma nei condotti.
https://www.aivulc.it/dettnews-international_school_on_hot_rock_avalanches__programme/3_586/it/
Figura 4. Lezione di apertura della scuola internazionale.
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La scuola “EXPERIMENTAL, ANALYTICAL AND NUMERICAL APPROACH TO VOLCANIC ROCK FAILURE AND DEPOSIT-DERIVED PDCS FORMATION” è parte del "Causes and consequences of deposit-derived pyroclastic density currents”, finanziato dal “Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza Missione 4 - Componente 2 (P20222BP7J).