Sorprendenti indizi di antiche eruzioni
a cura di Roberto Scandone e Lisetta Giacomelli
Una domenica mattina, visitando una storica dimora sul litorale romano, ci imbattiamo in un ciclo di affreschi dove, inaspettatamente, notiamo alcuni interessanti particolari relativi ai vulcani italiani nella prima metà del 1600.
L’antico maniero, ora aperto in qualche occasione al pubblico, è il casale del Tumoleto di Castel Fusano, acquistato nel 1620, insieme all’annesso castello, da una famiglia di banchieri toscani, i Sacchetti, in relazioni di affari con la famiglia Barberini. Dopo l’elezione di Urbano VIII, nato Maffeo Vincenzo Barberini, (papa dal 1623 al 1644), i Sacchetti si spostarono a Roma e divennero i banchieri del papa.
Come residenza di campagna scelsero questa villa-fortezza immersa nella pineta, a due passi dal mare, che decisero di ristrutturare e ampliare nel 1623-1629, affidandone il compito agli architetti Girolamo Rainaldi, Francesco Peparelli, Camillo Arcucci e Bernardino Radi.
Fra il 1626 ed il 1631, la villa venne impreziosita da una serie di affreschi realizzati da vari artisti sotto la direzione di Pietro da Cortona (Cortona, 1º novembre 1596 – Roma, 16 maggio 1669). Nato come Pietro Berrettini, oltre che pittore, fu architetto e stuccatore e, fra le altre cose, progettò il palazzo Pontificio di Castel Gandolfo.
Tra i tanti miglioramenti decorativi, spiccano sulle pareti della Galleria al secondo piano, sotto gli stemmi Sacchetti e Barberini, diverse carte geografiche.
Il 27 giugno 1755, il Marchese Giovanni Battista Sacchetti vende la villa al Principe Agostino Chigi per 135.000 scudi. Da qui nasce il doppio nome dell’edificio.
Di fronte alle rappresentazioni geografiche antiche, come quelle famose nel corridoio dei Musei Vaticani, nessuno si sottrae a una puntigliosa ricerca del nome del proprio paese o città, anche solo per la soddisfazione di vederlo nobilitato con un nome latino. Per i vulcanologi una carta geografica antica ha un’attrazione in più perché, con un po’ di fortuna, potrebbe contenere la raffigurazione di un vulcano, magari tratteggiato in un periodo poco noto della sua attività.
La nostra prima spontanea indagine fatta sulla parete della villa Chigi-Sacchetti è stata quella di cercare i vulcani a cui siamo più legati, Vesuvio e Campi Flegrei. Ma, non senza stupore, constatammo che non c’erano.
Bisognava trovare una giustificazione a tale macroscopica mancanza e, nel primo caso, non poteva che essere la data dell’esecuzione dell’opera. Il Vesuvio tornò in attività dopo un lungo periodo di quiescenza il 16 dicembre 1631. La sua natura, dopo secoli di silenzio, se non proprio del tutto dimenticata, era certo sconosciuta ad un artista fisicamente lontano da quella realtà, come Pietro da Cortona. Pertanto, l’affresco deve essere stato realizzato prima del risveglio del vulcano, che presumiamo non sarebbe passato inosservato, del 1631. Nel caso dei Campi Flegrei, la dimenticanza può essere attribuita alla distanza nel tempo, rispetto all’affresco, dell’ultima eruzione, quella di Monte Nuovo del 1538, peraltro non di grandi dimensioni, sfuggita all’artista toscano e forse già lontana anche dalla memoria locale. Se non per i vulcanologi, questo spazio temporale torna utile a confermare la data di esecuzione degli affreschi.
Spinti dalla curiosità, abbiamo cercato gli altri vulcani italiani per constatare se fossero stati anch’essi trattati con eguale noncuranza. Sbalorditi, e altrettanto soddisfatti, avvistiamo l’Etna (riportato come M. Gibello) con un bel pennacchio di cenere, forse reminiscenza della prolungata eruzione avvenuta fra il 1614 e il 1624 che doveva avere lasciato una forte impressione anche fra gli artisti non siciliani.
La nostra sorpresa è stata ancora maggiore quando, osservando le isole Eolie, abbiamo individuato Stromboli con un’attività debole, o comunque con segni poco leggibili, mentre l’isola di Vulcano (indicata come Wlcano) presentava una vistosa eruzione, anche graficamente molto differente da quella dell’Etna. Questa è probabilmente l’unica rappresentazione della quasi sconosciuta eruzione di Vulcano del 1626. Riportata dal Perrey nel 1848 su “Mémoire sur les tremblements de terre de la péninsule italique”, (pubblicato in Mémoires couronnés et mémoires des savants étrangers, Académie royale de Belgique, t. 22, p. 1-145), l’autore fa riferimento al Chronik der Erdbeben und Vulcan-Ausbrüche, Band 1 del 1840 di Karl Ernst Adolf von Hoff. A sua volta Von Hoff si richiama all’Historico racconto dei terremoti della Calabria di Agazio di Somma del 1641, dove si discute del violento terremoto di Girifalco in Calabria del 1626. Secondo quest’ultimo autore, il terremoto sarebbe ricollegabile ai “sommovimenti del Monte di Vulcano”, avvenuti in quello stesso anno. Analogamente il terremoto calabro del febbraio 1783 è stato seguito, nel marzo dello stesso anno, da una copiosa emissione di lava a Vulcano e Stromboli.
Nel catalogo della Smithsonian di Simkin e Siebert (1994) viene segnalata un’attività di Vulcanello fra il marzo e l’aprile del 1626. Altri autori riportano la data di maggio dello stesso anno. Tuttavia, nella citata bibliografia, non vi è alcun riferimento a Vulcanello e la data del 4 aprile coincide con quella del terremoto calabro.
Spinti da queste suggestioni storiche non possiamo fare a meno di ricordarci che il picco nell’emissione di CO2 dalle fumarole di Vulcano nel maggio-giugno del 2019, osservato dai ricercatori della sezione INGV di Palermo, ha preceduto di qualche mese un terremoto di magnitudo 4 avvenuto a poca distanza da Girifalco. Come dimenticare, poi, che nel 2002 ci eravamo meravigliati per la sincronicità fra l’eruzione dell’Etna iniziata a ottobre di quell’anno, l’improvviso aumento nell’emissione fumarolica sottomarina di Panarea e l’eruzione di Stromboli iniziata a fine dicembre. Lungi da voler proporre teorie, in un campo dove già troppe ne sono state enunciate e smentite, dobbiamo riconoscere che ci sono circostanze in cui, purtroppo, emerge evidente quanto siamo ancora lontani dal comprendere il misterioso respiro della Terra che pare legare fra di loro fenomeni naturali che avvengono a centinaia di chilometri di distanza.
Quel che in fondo desideriamo evidenziare è che spesso si scoprono piccoli o grandi particolari della storia passata, umana e geologica, nel modo meno prevedibile. La soddisfazione di poter ipotizzare, attraverso gli affreschi di Pietro da Cortona, la percezione dei fenomeni vulcanici che vi era in Italia nei primi decenni del 1600, con la preziosa e unica illustrazione grafica dell’eruzione del 1626 di Vulcano, aggiunge a una visita, già da sola interessante, l’emozione di una piccola ma non insignificante scoperta.
Un particolare ringraziamento alla Dr Ivana Corsetti per l’interessante e competente guida alla visita della villa Chigi-Sacchetti e al Principe Flavio Chigi per l’apertura al pubblico e per la sua personale accoglienza nella dimora di Castel Fusano.