Eruzioni islandesi (Grindavík - Heimaey e Surtsey – Eyjafjallajökull) - Danni e risorse

AIVULC / Approfondimenti
16
Gen
2024

Eruzioni islandesi (Grindavík - Heimaey e Surtsey – Eyjafjallajökull) - Danni e risorse

testo di L. Giacomelli, foto Giacomelli-Scandone, tranne diversa indicazione.

 

Schema con le eruzioni più recenti avvenute in Islanda.

 

RICORDO DI GRINDAVÍK

Basta essere passati anche una sola volta da Grindavík per seguire l’evoluzione dell’attività vulcanica in quell’area con particolare partecipazione. 

Le eruzioni in Islanda non sono inaspettate (https://www.aivulc.it/dettnews-reykjanes_lo_spettacolo_lascia_il_posto_allapprensione/4_443/it/). La sua posizione sulla dorsale medio oceanica, se da un lato è proprio quella che ha consentito all’isola di formarsi, dall’altro rappresenta una continua sorgente di magma (Foto 1).

 

Foto 1 - Il cartello esposto accanto a una frattura del suolo evidenzia la posizione dell’isola a cavallo delle due placche continentali Euro-asiatica e Nord-americana.

  

Il paese di Grindavík si trova sulla penisola di Reykjanes, dove vi sono anche la capitale, l’aereoporto e la più alta concentrazione di abitanti, 140.000 nella sola Reykjavík, su meno di 400.000 persone in tutta l’isola. Nella stessa area sono ben visibili alcune delle profonde fratture che separano due zolle continentali, quella euro-asiatica e quella Nord-americana (Foto 2).

 

Foto 2 - A destra la placca Euro-asiatica, a sinistra quella Nord-americana.

 

Per geologi e vulcanologi, questa terra rappresenta un’esperienza irrinunciabile. Vulcani attivi, enormi antichi vulcani tabulari, distese di coni senza radici, morene, ghiacciai, laghi e fiumi, geyser e impianti di geotermia, tutto insieme come in nessun altro posto. Per i turisti è un susseguirsi di emozioni, anche se i meno avventurosi potrebbero essere delusi dalla scarsa presenza di esseri umani e di alberi, dalla frequente pioggia e dal vento, o trovare monotoni gli infiniti puntini bianchi delle sparpagliate pecore sul verde intenso dei prati, se non addirittura qualche cascata, dopo le prime mille (Foto 3a e 3b).

 

Foto 3a e 3b – Le colate di lava che fiancheggiano le fratture nella penisola di Reykjanes.

 

Il viaggio ha tappe obbligate e, tranne rare e non semplici puntate verso l’interno, si segue un’unica strada che corre lungo il perimetro dell’isola. Quindi, se non vi sono interruzioni per alluvioni o eruzioni, o entrambe, è quasi inevitabile passare da Grindavík.

Noi ci arriviamo nel settembre 2015, e ci torniamo nello stesso mese del 2019, al seguito di un gruppo di partecipanti a un progetto europeo centrato sulla mitigazione del rischio vulcanico. Ogni volta, con gli occhi sbarrati per la bellezza selvaggia del paesaggio, per le tante forme vulcaniche incontrate, talvolta insolite, ma anche stremati dalla lotta della nostra auto a noleggio contro pioggia e vento (Foto 4).

 

Foto 4 – Bar ristorante sul porto di Grindavík, solo in apparenza poco accogliente.

 

A Grindavík il cielo è grigio, il mare scuro. Pare che lo siano quasi sempre. È un clima che rende ancora più piacevole trovare un rifugio. Il primo locale avvistato è caldo e accogliente, con pentoloni di zuppa di pesce che emanano un ottimo profumo. Lungo la strada che attraversa il paese, la stessa che ora è danneggiata dai terremoti che accompagnano l’eruzione, vi sono grandi cartelli con vecchie fotografie di mareggiate, di pescatori, scene di vita del villaggio. Poche ore e già ci dispiace andarcene (Foto 5).

 

Foto 5 – L’attesa del proprio turno davanti alle pentole di zuppa di pesce consente di fare qualche riflessione scientifica al riparo dal vento.

 

L’eruzione ora in corso nell’area vulcanica Svartsengi, non lontano dal vulcano Fagradalsfjall, tornato in attività nel marzo 2021 dopo circa 6 mila anni, sta spandendo colate di lava che si avvicinano e forse raggiungeranno le case di Grindavík. Le strade sono squarciate da profonde fratture, quattromila persone sono state evacuate, con i beni di prima necessità e gli animali. I media diffondono immagini terrificanti, con incandescenti fontane di lava che suscitano stupore e apprensione. La vigilia di Natale tutto sembra tornare sotto controllo e il livello di allerta viene ridotto, consentendo agli abitanti di Grindavík di rientrare nelle loro case, tenendosi comunque pronti a lasciarle di nuovo nel caso di ripresa dell’attività. Il movimento del suolo è, infatti, tuttaltro che esaurito e la prospettiva di nuovi episodi eruttivi non è remota. Gli islandesi sanno che i danni possono essere gravi, ma anche che questo tipo di eruzioni, per quanto possano stravolgere il territorio, non mettono in serio pericolo gli essere umani che hanno tempo, spazio e supporti adeguati per porsi in salvo (Foto 6).

 

Foto 6 – Confronto tra il numero di abitanti in Islanda e un territorio italiano con superficie comparabile.

 

Il calo di turisti registrato negli ultimi anni, dopo un incremento di presenze vertiginoso, sarà probabilmente riequilibrato dallo spettacolo vulcanico che la penisola di Reykjanes offre ormai da tre anni, benché, per precauzione, siano state chiuse strade e luoghi importanti, come le aree termali di Laguna Blu e le autorità raccomandino la massima prudenza (Foto 7-10).

 

Foto 7 - Questa immagine esposta lungo le vie di Grindavík riassume gran parte delle fonti economiche dell’isola: pesca, pecore, turismo. La pesca rimane una delle attività principali; dalle pecore si ricava, oltre alla carne e al latte, la lana con cui si fanno i maglioni indossati dai pescatori; turismo, perché gli articoli in lana sono diventati souvenir irrinunciabili per oltre 2 milioni di turisti annui. La didascalia della foto indica febbraio 1974, autore Ólafur Rúnar.

 

Foto 8 – L’immagine esposta lungo le vie di Grindavík ritrae una mareggiata che invade il porto nel febbraio 1972, autore Ólafur Rúnar.

 

Foto 9 – Pescherecci in balia delle onde nel febbraio 1973; autore Ólafur Rúnar.

 

Foto 10 – Mare in tempesta nel 1985 in uno scatto di Snorri Snorrason, esposto nel centro di Grindavík.

 

L’eruzione, alla fine, potrebbe riservare inaspettati sviluppi. Non sarebbe la prima volta che da un disastro, se fronteggiato con mentalità, strumenti e iniziative opportune, si realizzi la rinascita di territori poco noti o sottovalutati. Così come da eventi in apparenza innocui, scaturiscano ripercussioni gravi. A seconda del contesto storico e ambientale, le conseguenze possono essere diverse e imprevedibili (Foto 11-13).

 

Foto 11 - Chiunque vada in Islanda ha una fotografia della cascata Skógafoss, che si incontra lungo la strada nell’area meridionale dell’isola.

 

Foto 12 – Acque termali nell’area di Laguna Blu.

 

Foto 13 - Immagine satellitare ESA, 11 luglio 2023 – eruzione del vulcano Litli-Hrútur. Grindavik è il paese in basso al centro. Verso l’alto, a sinistra dei rilievi montuosi, la macchia chiara è la famosa area termale Laguna Blu.

 

Molti esempi nel mondo rientrano nell’uno o nell’altro caso. Per restare in Islanda, poteva sembrare inoffensiva l’eruzione di Laki, avvenuta tra giugno 1783 e febbraio dell’anno successivo. In effetti, la perdita di una ventina di fattorie dislocate lungo i fiumi Skaftá e Hverfisfljót, invasi da enormi colate di lava, fu trascurabile rispetto ai danni provocati dall’emissione di gas tossici che avvelenarono i pascoli, provocando la perdita di molti animali e una conseguente carestia che decimò la già scarsa popolazione islandese. Inoltre, l’estate del 1784 fu una delle più fredde e, in tempi privi di quei soccorsi che oggi chiamiamo ammortizzatori sociali, fame e povertà dilagarono in buona parte d’Europa (Foto 14-16).

 

Foto 14 – Lo specchio d’acqua Tjarnagígur, all’interno di uno dei 130 coni formatisi sulla frattura lunga 25 km dell’eruzione di Laki del 1783.

 

Foto 15 – I piccoli coni dell’eruzione di Laki ricoperti di licheni e muschi. Le colate di lava emesse lungo la frattura coprirono un territorio di 600 km2.

 

Foto 16 – Un percorso tra i crateri dell’eruzione di Laki, durante la quale furono emessi circa 15 km3 di magma e scagliati in atmosfera 500 milioni di tonnellate di gas vulcanici, di cui 122 milioni di acido solforico, 15 milioni di fluoro e 7 milioni di cloro.

 

Nel caso opposto, l’eruzione di Heimay del 1973, che sembrava irreparabile, si risolse con una rapida ripresa economica della piccola isola, favorita anche dal rilancio turistico di una località sconosciuta prima dell’eruzione. In bilico tra i due possibili risvolti rimane l’eruzione dell’Eyjafjallajökull, del 2010. L’impatto sul territorio fu quasi irrilevante e i pochi danni si sono convertiti in una ulteriore attrattiva turistica, ma il blocco di centinaia di voli aerei causò un enorme danno economico.

 

HEIMAEY

La più vasta delle Westman Island (13,4 km2) si trova a 12 km dalla costa islandese ed è un importante centro per la pesca e per l’industria della lavorazione del pesce.

La parte settentrionale dell’isola è formata da lave di età compresa tra 15.000 e 13.000 anni. Le eruzioni più antiche avevano creato due isolotti separati, ora uniti fra loro da un istmo (Foto 17 e 18).

 

Foto 17 - Dal bordo del cratere del 1973 si vedono due isolotti delle Westman Island e la costa dell’Islanda con il ghiacciaio Myrdalsjökull che copre il vulcano Katla.

 

Foto 18 – Il cono del vulcano Helgafell, di circa 6000 anni. In primo piano il versante del vulcano Eldfell del 1973.

 

Tra 7.000 e 6.500 anni fa, una serie di colate di lava formò una terza isola, Stórhöfdi, nella parte meridionale. Nello stesso settore, intorno a 6200 anni fa, un’eruzione esplosiva, iniziata in mare, lasciò un ampio cono isolato, Saefell (Foto 19).

 

Foto 19 - Prodotti delle eruzioni esplosive avvenute intorno a 6.200 anni fa dal vulcano Saefell, nel settore meridionale dell’isola, con vistose deformazioni da impatto.

 

Quasi 6.000 anni fa, con la formazione del cono Helgafell, l’isola cominciò ad assumere l’aspetto odierno. Le lave di questo vulcano congiunsero in un unico territorio le isole sparse a Nord e a Sud. Da allora, iniziò un lungo silenzio, durato fino al 1973 (Foto 20).

 

Foto 20 – Il porto di Heimaey, con alle spalle il cono più antico Helgafell (a destra) e quello del 1973, Eldfell.

 

Il 23 gennaio 1973, alle due di notte, tutti i 5300 abitanti dell’isola stavano dormendo, compresi i pescatori che non avevano preso il mare per una burrasca. Dopo qualche ora di deboli terremoti, improvvisamente le fiamme scaturirono dal suolo vicino al cono Helgafell. Subito alla polizia locale giunse la telefonata di un agricoltore che abitava poco distante da quel punto, ma non venne considerata attendibile. Per scrupolo, il gendarme di turno si recò sul posto, per constatare che realmente una frattura eruttiva si era aperta dal mare e che già si prolungava per un km e mezzo verso l’interno dell’isola (Foto 21).

 

Foto 21 – Ai piedi del cono Eldfell si vedono le bocche eruttive allineate sulla frattura che dal mare andava verso l’interno dell’isola e che rappresenta l’inizio all’eruzione del 1973.

 

Svegliati di colpo, gli isolani si precipitarono verso il porto, dove vennero caricati sui pescherecci, che per fortunata coincidenza erano disponibili, e sugli aerei giunti da Reykjavìk. Tra le tre e le sette del mattino, tutti erano in salvo, senza scene di panico, pur non sapendo se mai sarebbero tornati sull’isola. Insieme agli abitanti, furono trasportati molti veicoli, macchinari industriali, prodotti ittici e animali domestici. Restarono pochi uomini, determinati a salvare le loro case, le greggi e, soprattutto il porto, centro della loro principale risorsa, la pesca (Foto 22).

 

Foto 22 – Alle spalle della chiesetta si vede in alto il cono di scorie e la colata di lava del 1973, scesa fino al mare.

 

Le fontane di lava distribuite lungo tutta la frattura, nel giro di tre giorni si concentrarono alle spalle della chiesa. Cenere e scorie cadevano su tutte le case e quanti erano rimasti si misero a sigillare porte e finestre con fogli di acciaio. Gli edifici risparmiati dalla cenere venivano ingoiati dalla lava che si dirigeva inesorabilmente verso il porto, minacciando di bloccarlo con una diga (Foto 23).

 

Foto 23 – Una fotografia esposta all’interno del Museo Eldheimar, con la chiesa illuminata dalle esplosioni.

 

Per rallentarne l’avanzata, si investì la colata con potenti getti d’acqua. Dopo quindici giorni, per contenere la lava si creò anche un argine laterale di terriccio. Un ramo riuscì a raggiungere la costa e allora si spostarono le pompe su due barche e si continuò ad aiutare da mare il raffreddamento della massa incandescente.

A metà marzo l’isola sembrava un campo di battaglia, con nubi di vapore che si sollevavano dalla colata investita dall’acqua. Tra i molti aiuti, il governo degli Stati Uniti inviò 30 pompe più potenti di quelle già in uso e, sorprendentemente, si notò che le pompe di gomma piene d’acqua resistevano al calore più di quelle in metallo (Foto 24).

 

Foto 24 – Il paese di Heimaey visto dalla cima del cono Eldfell.

 

L’eruzione finì dopo cinque mesi e cinque giorni, lasciando un cono di scorie alto più di 200 m e una colata di lava che, dopo aver distrutto 417 abitazioni, circa un terzo della città, si era fermata a meno di 100 m dal molo. Tre impianti per la lavorazione del pesce erano andati completamente distrutti e due erano seriamente danneggiati. Erano stati pompati più di sei milioni di m3 di acqua che avevano indirizzato la lava verso Nord e verso Est, aggiungendo all’isola un’ampia porzione di suolo (Foto 25).

 

Foto 25 – L’entrata del porto diHeimaey. A sinistra, la lingua di lava arrivata fino al mare.

 

L’evento fu drammatico e disastroso, eppure ebbe anche risvolti positivi del tutto inattesi. In primo luogo, fu un esperimento senza precedenti di protezione civile, con un tentativo di mitigazione dei rischi mai osato prima. La baia divenne più sicura, con un naturale frangiflutti formato da una bassa lingua di lava scesa sott’acqua. La lava entrata in mare aveva formato un prolungamento dell’insenatura del porto, rendendolo ancora più riparato. Cenere e scorie furono usate per costruire le nuove case e una seconda pista dell’aeroporto dell’isola, mentre il cono formatosi alle spalle del paese, chiamato Eldfell (montagna di fuoco), costituiva un riparo dai forti venti provenienti da quella direzione (Foto 26).

 

Foto 26 - Panoramica verso il paese e la costa Nord dal bordo del cratere Eldfell.

 

Nell’estate del 1974 metà degli abitanti rientravano nelle loro case; nel marzo 1975 l’80% della popolazione era tornata sull’isola e aveva ripreso l’attività di pesca, dimostrando capacità di fronteggiare con coraggio gli imprevisti più terribili. Un impianto pionieristico permise, fin dall’inizio del 1982, di collegare tutte le case a un sistema che sfruttava il calore residuo della lava, la cui durata era prevista per circa 10 anni, ma che si protrasse più a lungo (Foto 27a e 27b).

 

Foto 27 – a) L’ingresso al museo vulcanologico. Accanto la casa semi sepolta dalla cenere e, in alto, sopra i prati, il fianco brullo del cono Eldfell. b) Dettaglio dell’abitazione rimasta sotto la cenere.

 

Non ultimo, la piccola e sconosciuta isola di pescatori si trasformò in una meta per scienziati e turisti provenienti da ogni parte del mondo, attratti anche dal museo vulcanologico Eldheimar sorto dopo l’eruzione, una struttura perfettamente inserita nel paesaggio brullo creato dalle esplosioni. L’edificio conserva, accanto all’entrata, una delle case danneggiate dalla cenere, efficace testimonianza dei drammatici momenti vissuti (Foto 28).

 

Foto 28 – La facciata di un edificio sul porto di Heimaey, con il disegno del paese sommerso dalla cenere. L’immagine esprime il legame tra l’isola e la catastrofe che malgrado tutto l’ha resa famosa.

 

 

SURTSEY

Gli abitanti di Heimey il 23 gennaio 1973 non si aspettavano un’eruzione proprio fuori dalla porta di casa, per quanto non fossero completamente all’oscuro di questa eventualità. Dieci anni prima, nella notte tra il 14 e 15 novembre del 1963, avevano visto nascere una nuova isola di fronte alla loro, poco distante dalla costa Sud-Ovest. Le prime persone che avvistarono del fumo in mare, lo confusero con un natante in fiamme. Così non era e, dopo tre anni e mezzo di esplosioni, la fila di isolotti che compongono le Westman Island, era accresciuta di una unità.

L’isola prese il nome di Surtey, un personaggio della mitologia nordica, e da allora tutte le eruzioni con le stesse caratteristiche sono chiamate surtseyane. Dopo una fase di attività sottomarina, le esplosioni avvennero sopra il livello del mare con lanci di materiale che arrivarono a 10 km di altezza. Alla fine di marzo del 1964, l’isola era ampia mezzo km2, lunga 1,7 km e alta 150 m (Foto 29).

 

Foto 29 – Il cartello con la fotografia di Surtsey, collocato sulla costa meridionale di Heimaey in direzione dell’isolotto.

 

Con la formazione del cono in superficie, il magma riuscì a sgorgare senza incontrare l’acqua marina. Cessarono le esplosioni e iniziarono le colate di lava che ampliarono la base del vulcano. Alla fine dell’eruzione, nel giugno del 1967, la superficie della nuova isola era di 2,6 km2, progressivamente ridotta fino a 1,5 km2 dall’erosione marina.

Questa eruzione non provocò danni e rappresentò per i vulcanologi un’esperienza rara per la comprensione della formazione delle isole vulcaniche e dei processi esplosivi causati dal contatto tra magma e acqua (Foto 30).

 

Foto 30 – Un esplicito divieto di sorpasso lungo la strada di Heimaey. Sullo sfondo, i rilievi nell’area Nord dell’isola.

 

 

EYJAFJALLAJÖKULL

Una delle eruzioni islandesi più recenti, nota soprattutto per la sua grave ripercussione economica, è avvenuta nel 2010 sul vulcano Eyjafjallajökull. Alto 1666 m, questo vulcano è coperto fino alla quota di 1000 m da un ghiacciaio. Attivo da circa 800.000 anni, negli ultimi 11.000 anni ha avuto non più di 14 o forse 16 eruzioni, poche se confrontate con le oltre 400 del vicino vulcano Katla, a sua volta ricoperto da un ghiacciaio molto più ampio, il Myrdalsjökull. (Jökull ricorre spesso nei toponimi islandesi e significa ghiacciaio. Dal momento che sotto i ghiacciai spesso vi sono vulcani, il termine può indicare entrambi) (Foto 31).

 

Foto 31 – L’eruzione del 2010 e le fattorie danneggiate dalla caduta di cenere (fotografia esposta nel museo locale).

 

Una rete di monitoraggio controllava il vulcano dal 1988, senza registrare alcun segnale fino al maggio 1994 e al luglio 1999, quando avvennero scosse sismiche durate un mese in entrambi i casi. Il rigonfiamento rilevato dal satellite sembrava indicare un’eruzione imminente, ma passarono altri dieci anni prima che si verificassero nuovi terremoti e un incremento nella deformazione dei fianchi del vulcano. Poi tutto sembrò tornare come prima. Nel dicembre 2009, terremoti e deformazioni ripresero con maggiore intensità. Il 4 marzo 2010 il vulcano continuava a gonfiarsi e i terremoti diventavano sempre meno profondi, come a seguire il movimento del magma verso l’alto (Foto 32).

 

Foto 32 – Il ghiacciaio Eyjafjallajökull con la neve nera di cenere dell’eruzione del 2010, fotografato nel settembre 2015.

 

Il 18 marzo scattò l’allerta e due giorni dopo, in tarda serata, si aprì una fessura sul versante Nord-Est, lunga 400 m, sulla quale cominciarono formarsi fontane di lava, alte 150 m, che alimentavano una colata che si tuffava in due burroni alla base del vulcano. Dal 12 al 14 aprile l’eruzione si fermò. La ripresa fu violenta: il magma arrivò alla bocca sommitale, attraversando e sciogliendo 250 m di ghiaccio. L’ondata d’acqua si riversò in un lago che si trovava alla base di un ramo pensile del ghiacciaio e causò un’alluvione che dilagò nell’ampia distesa di ghiaie (sandur) del fiume Markarfljót, devastando un tratto della strada che compie il periplo dell’isola (Foto 33).

 

Foto 33 – I campi tornati produttivi dopo essere stati sgomberati dalla cenere immediatamente alla fine dell’eruzione (foto del settembre 2015).

 

Seguì una nube di cenere densa e scura che raggiunse l’altezza di 8 km e che, con qualche intervallo, durò fino al 18 aprile. Una successiva fase meno violenta, con esplosioni sporadiche e una colonna eruttiva alta tra 1 e 4 km, era accompagnata dall’emissione di lava. Questa durò fino al 4 maggio, quando la colonna di ceneri arrivò di nuovo a 6 km di altezza. Le esplosioni continuarono fino al 17 maggio, per poi declinare e terminare completamente il 22 maggio (Foto 34).

 

Foto 34 – L’ampio greto sabbioso (sandur) del fiume Markarfljótai piedi di Eyjafjallajökull.

 

Data la scarsa densità di edifici, esplosioni, cenere e piena fluviale, danneggiarono solo un paio di fattorie e, fino a un po’ di decenni fa, tutto avrebbe avuto un impatto economico quasi nullo. Al contrario, il recente e smisurato incremento delle rotte aeree ha creato i presupposti per una pesante ricaduta economica, rivelando tutta la fragilità dell'odierna economia e del nostro stile di vita. Lo spazio aereo venne chiuso dal 15 al 23 aprile, con disagi, cancellazioni di voli fino al 9 maggio e la perdita per le compagnie aeree stimata in 200 milioni di dollari al giorno (Foto 35).

 

Foto 35 – Sgombero della cenere nella primavera 2010, appena terminata l’eruzione (foto esposta al museo locale).

 

A posteriori, forse il pericolo fu sovrastimato e la prudenza eccessiva, ma bisogna ricordare che le minuscole particelle vetrose della cenere vulcanica hanno un forte potere abrasivo e possono causare stallo dei motori o danni molto gravi. Anche nel migliore dei casi, gli interventi di ripristino e i costi di manutenzione dei velivoli che hanno attraversato una nube di cenere vulcanica sono particolarmente onerosi (Foto 36).

 

Foto 36 – Il cielo quasi rannuvolato dalle numerose scie di aerei rende l’idea della quantità di voli che si incrociano in questo spazio. Sullo sfondo, il profilo delle Westman Island.

 

Le due fattorie danneggiate si sono riprese rapidamente e i proprietari, testimoni diretti dell'evento, hanno aggiunto alla loro normale attività la gestione di un piccolo centro di documentazione vulcanologica, con un esauriente filmato dell’accaduto, acquistato da molti turisti, insieme ad altri souvenir. Essendo quella l’unica strada che corre intorno all’isola, la sosta è praticamente inevitabile e gli ospiti che ci accolgono nel museo straordinariamente disponibili (Foto 37-39).

 

Foto 37 – I partecipanti a un progetto europeo per la mitigazione dei rischi vulcanici in visita al museo dedicato all’eruzione dell’Eyjafjallajökull.

 

 

Foto 38 – Due partecipanti al convegno davanti all’immagine dell’eruzione al visitor center.

 

Foto 39 – Bisogna aguzzare la vista, ma in questa fotografia ci sono tre gruppi, ognuno di tre pecore. In Islanda ci sono almeno due pecore per ogni abitante ma, tranne qualche sporadico gruppo, se ne vedono quasi sempre tre alla volta, per km e km.
 

 

postilla a

ERUZIONI ISLANDESI (GRINDAVÍK - HEIMAEY E SURTSEY – EYJAFJALLAJÖKULL) - DANNI E RISORSE

(L. Giacomelli)

 

Le speranze che Grindavík fosse scampata alle colate di lava si sono infrante a partire dall’alba del 14 gennaio 2024. A distanza di due giorni, sembra di nuovo tornata la calma ma, data la rapidità con cui la situazione evolve in questa parte del globo, l’attenzione rimane alta. 

14 gennaio

- ore 03:00 UTC - è stato registrato l’inizio di una serie di terremoti accanto al cratere Sundhnúksgígar.
- ore 06:15 UTC - sono stati rilevati oltre 200 terremoti (max M 3,5 a Hagafell); la sismicità si è spostata verso la città di Grindavík. La possibilità di una imminente eruzione è ritenuta elevata.
- ore 07:57 UTC - l'eruzione inizia dalla fessura apertasi a Sud-Est del cono Hagafell. La parte più meridionale si trova a circa 900 m dalla città di Grindavík e supera le barriere di deviazione del flusso di lava che sono in costruzione a nord di Grindavík. La lava scorre verso la città.
- ore 12:10 UTC - una nuova fessura eruttiva si è aperta appena a Nord della città. Le colate laviche fuoriuscite da questa fessura sono ormai entrate in paese.

 

La fessura eruttiva indicata con una linea rossa continua. la barriera in costruzione con quella tratteggiata.

 

- 15:30 UTC - l'eruzione tra Hagafell e Grindavík continua con la stessa intensità. Sia la sismicità che le misurazioni della deformazione indicano che il magma si è propagato sotto la città di Grindavík, riattivando le faglie e le fratture esistenti e probabilmente formandone di nuove all'interno dell’abitato.

 

Estensione della lava basata sulle misurazioni condotte dall'Istituto islandese di storia naturale e dall'Istituto di scienze della terra dell'Università islandese. Il colore viola scuro corrisponde all’estensione delle colate alle 13:50 del 14 gennaio, mentre il viola chiaro mostra l'estensione alle 16:15. Le fessure eruttive sono indicate da linee rosse, mentre le barriere costruite per impedire alla lava di raggiungere Grindavík sono linee tratteggiate arancione.

 

15 gennaio 2024

– ore 16:40 UTC – il flusso di lava proveniente dalla fessura eruttiva meridionale, emerso intorno a mezzogiorno di ieri nei pressi del confine della cittadina appare fermo. La maggior parte del flusso lavico rimanente è ora diretto a Sud-Ovest lungo le barriere protettive.
L’attività sismica è diminuita e le misurazioni GPS indicano che il tasso di deformazione nell’area si è ridotto. Tuttavia, si rileva ancora deformazione vicino alla parte più meridionale del dicco magmatico sotto Grindavík.
Nelle ultime 24 ore lo spostamento di numerose fessure all’interno della città è arrivato a 1,4 metri. Si sono sviluppate nuove fessure e quelle esistenti si sono ampliate.

Non si esclude la possibilità che nuove fessure appaiano improvvise, come successo con quella eruttiva vicino a Grindavík, apertasi ieri senza segnali premonitori riconoscibili dagli strumenti di monitoraggio.

 

16 gennaio 2024

- ore 11:45 UTC - Non vi è alcuna attività visibile in corrispondenza delle fessure eruttive. La lava più recente è quella vista uscire ieri dalla fessura settentrionale poco dopo l'una di notte. L’attività sismica continua a diminuire. A partire dalla mezzanotte sono stati registrati circa 200 piccoli terremoti, la maggior parte localizzati a Hagafell, vicino alla prima fessura eruttiva apertasi domenica mattina.

I sensori GPS continuano a rilevare deformazioni del suolo dentro e intorno a Grindavík, segno che il magma è ancora presente. Le immagini termiche ottenute da un drone la scorsa notte mostrano che le fessure precedentemente mappate a Sud-Ovest di Grindavík si sono notevolmente ingrandite.

È ancora prematuro dichiarare l’eruzione definitivamente finita.

 

La colata di lava si avvicina a Grindavík (Foto Icelandic Department Of Civil Protection and Emergency Management).

 

 

notizie e figure tratte dal sito del Dip. di Protezione Civile islandese
https://www.almannavarnir.is

e dal sito
https://en.vedur.is