Erebus & Terror
A cura di Gianfilippo De Astis.
L’AVVISTAMENTO
Lo stratovulcano attivo più meridionale del mondo, il Mt. Erebus, è stato fotografato dal satellite Landsat 9 che vi passava sopra il 25 novembre 2023, allorquando è apparso a sorpresa tra le fitte nuvole che coprivano il settore Antartico del Pianeta (Foto 1).
Al di sopra di quell’ampia distesa bianca, sono apparsi chiari e ben definiti: la sua porzione sommitale, con il picco a 3.794 metri s.l.m., e parte dei fianchi che si dipartono dagli orli di due caldere che circondano il picco, essendo il resto del vulcano coperto di neve (Foto 1 e 2).
L’immagine satellitare non lascia invece intravedere la Base antartica USA “McMurdo”, situata a soli 35 chilometri di distanza dalla sommità del vulcano o quella neozelandese “Scott” situata a distanza analoga, sempre sulla penisola di Hut Point.
Foto 1. Immagine satellitare dal Landsat 9, ottenuta attraverso il sensore OLI-2.
Foto 2. Vista del Mt. Erebus, con le principali morfo-strutture (modificato da Sims et al., 2020).
Il Monte Erebus è uno dei vari vulcani che formano l’isola di Ross, dal nome dell’esploratore Sir J.C. Ross che l’aveva scoperta nel 1841, e che R.F. Scott decise di usare per quel lembo di Terra.
Robert Scott era a sua volta un marinaio ed esploratore della Reale Marina Britannica, che perse la vita nella famosa “competizione” (con la squadra del norvegese Roald Amundsen) su chi avrebbe raggiunto il Polo Sud per primo.
Il primo avvistamento del vulcano che avrebbe preso il nome di Erebus era avvenuto proprio alla fine di gennaio del 1841“...a mountain twelve thousand four hundred feet of elevation above the level of the sea, emitting flame and smoke in great profusion...I named it "Mount Erebus", and an extinct volcano to the eastward, little inferior in height, being by measurement ten thousand nine hundred feet high, was called "Mount Terror." era scritto sul giornale di bordo della nave di Ross che esplorava l’Antartide (Foto 3).
Foto 3. “Mount Erebus discovered”, A voyage of discovery and research in the Southern and Antarctic regions during the years 1839-43, plate opposite p. 216 (1847) by Sir J.C. Ross (State Library South Australia catalogue).
Come riporta Ross, dunque, i vulcani sono due, appaiono simili ma uno è attivo mentre l’altro no. Ora sappiamo che il Mt. Terror ha un’età compresa tra poco meno di 2 Milioni di anni (Ma) e 0.8 Ma ed una storia eruttiva non così terrificante come il suo nome suggerirebbe. Tuttavia, è senz’altro più interessante sapere che mettendo insieme i nomi di questi due vulcani, salta fuori un bel pezzo di storia polare del secolo XIX da raccontare.
LE NAVI
Le due navi della Royal Navy che hanno dato il nome a questi due vulcani – Erebus e Terror – hanno infatti una incredibile storia di esplorazioni nei loro scafi perché furono scelte e allestite per affrontare una serie di spedizioni che Ross compì verso la Tasmania e verso l’Antartide, tra il 1839 e il 1843. Successivamente, durante una spedizione artica capitanata da J. Franklin e F. Crozier, le navi scomparvero nel nulla dopo essere state avvistate per l’ultima volta nella Baia di Baffin nell’agosto del 1845. Quest’ultima spedizione aveva lo scopo dichiarato di raccogliere dati nella parte settentrionale del Canada e di completare l'attraversamento del mitico passaggio a nord-ovest, che era già stato tracciato da est a ovest ma non era mai stato del tutto superato. L’obiettivo non fu mai raggiunto e la scomparsa di tutti i 129 membri dell’equipaggio rese il viaggio tra i più tragici della Marina Reale Britannica. L'ultima notizia certa che è giunta sino a noi è riportata su un messaggio vergato a mano e firmato dai capitani Crozier e Fitzjames, ritrovato nel 1859, in cui si dice che la Terror e la Erebus furono abbandonate il 22 aprile 1848. I relitti delle due navi, molto a lungo ricercati sin da allora, sono stati trovati solo di recente: nel settembre del 2014 quello della Erebus, vicino all'isola di Re Guglielmo, nel Nunavut, attraverso le immagini sonar raccolte da una spedizione canadese; ed ancora a settembre, ma del 2016, il relitto della ormai leggendaria Terror, adagiato in ottime condizioni proprio sul fondo della Terror Bay, a sud ovest dell’Isola di Re Guglielmo. Era quest’ultima la nave del capitano Francis Crozier che romanzi, serie tv (The Terror, AMC Studios 2018) e storie inuit raccontano essere l’unico marinaio della spedizione sopravvissuto, in giro per quelle terre ancora per anni … Le due navi sono anche menzionate dal Capitano Nemo nel romanzo di Jules Verne Ventimila leghe sotto i mari (1869-70), per raccontare le difficoltà di circumnavigazione del Polo Sud.
Ma torniamo ai nostri due vulcani.
I VULCANI DELL'ISOLA DI ROSS
Mt.Erebus e Mt.Terror si trovano in una zona di rift - il Terror Rift, lungo 350 km e ampio 50-70 km tra la Ross Island e Capo Washington - dove i processi geodinamici distensivi hanno causato l'assottigliamento della crosta e permesso al magma di migrare attraverso un sistema di faglie, fino alla superficie. La sequenza di lave dell’Erebus è ben datata e fornisce un intervallo temporale di attività vulcaniche che va da 1,3 Ma ad oggi, fornendo una documentazione completa dell'evoluzione a lungo termine del vulcano (e.g. Sims et al., 2020 e bibliografia ivi contenuta). Il vulcano Erebus è uno di quei rari sistemi vulcanici attivi che forniscono un'importante finestra sui processi di fusione del mantello, ed allo stesso tempo sono caratterizzati da condizioni climatiche così estreme da rendere molto interessante lo studio degli organismi capaci di resistervi. Le fumarole della Erebus Ice Tower e le terre riscaldate intorno al vulcano ospitano una comunità microbica unica e in gran parte endemica per il continente antartico. Pertanto, sono più di 50 anni che il vulcano è stato scelto come laboratorio scientifico a cielo aperto e negli ultimi 20 attorno al vulcano è stata stesa una rete di strumentazione scientifica (sismica, infrasonica, geodetica e ambientale), che ha raccolto continuamente dati sotto l’egida del Mount Erebus Volcano Observatory, almeno fino al 2016.
Ma c’è un fenomeno speciale che caratterizza questo vulcano.
Nell’ingrandimento dell'immagine Landsat dell’Erebus (Foto 4) è possibile vedere il segnale infrarosso ad onde corte prodotto dal calore di un lago di lava nel cratere sommitale (pallino rosso). Questo lago, dove ribolle costantemente un magma fonolitico, è attivo almeno dal 1972 ed è uno dei pochi laghi di lava longevi presenti sul nostro Pianeta (Foto 5). Occasionalmente, esso attraversa fasi di attività tipicamente stromboliane - che per es. si sono intensificate nel periodo 2005-2007 - ed emette i tipici prodotti piroclastici di quelle eruzioni. Un magma fonolitico è, per capirci, un magma di composizione simile a quella che ha alimentato la più famosa eruzione esplosiva della storia antica: quella del 79 AD al Vesuvio.
Foto 4. Immagine dell'Osservatorio della Terra della NASA di Lauren Dauphin, utilizzando i dati Landsat dell'USGS. Il lago di lava visibile nella foto grazie al segnale infrarosso non era certamente visibile agli occhi dell’esploratore J.C. Ross e probabilmente non esisteva neppure quando l’Erebus fu scalato la prima volta nel 1908 dai membri della spedizione Shackleton, che però non raggiunsero la vetta.
Foto 5. Il lago di lava dell’Erebus è ospitato in un cratere largo circa 250 m e profondo 100 m (da Erebus in nmt.edu, public domain).
Il lago di lava persistente del Mt. Erebus è, di fatto, un sistema vulcanico con degassamento a condotto aperto, molto ricco in CO2, che permette di studiare questo fenomeno in un sistema magmatico alcalino e, in generale, il comportamento dei vulcani a condotto aperto. Molti studi vulcanologici sono indirizzati a scoprire perché un lago di lava attivo, di composizione fonolitica, persista qui da così tanto tempo. Ricerche recenti suggeriscono che una delle ragioni potrebbe essere il basso contenuto di acqua del magma, che lo rende meno volatile man mano che si avvicina alla superficie.
IL MT. EREBUS E W. HERZOG
Nel 2008 e ancora nel 2016, abbiamo visto apparire il Mt. Erebus in due documentari del cineasta tedesco Werner Herzog (Foto 6), rispettivamente “Encounters at the End of the World” (nominato agli Oscar) e “Into the Inferno”.
In entrambi i documentari, Herzog parla con dei vulcanologi – che lui chiama affettuosamente ma emblematicamente “tribù di vulcanologi” - mentre osservano il lago di lava ed esplorano le grotte di ghiaccio formate dalle fumarole dell’Erebus.
Come quasi sempre accade nelle sue opere, Herzog riesce a spostare progressivamente il discorso dalla scienza (dei vulcani) alla metafisica, portandoci a riflettere sul rapporto profondo tra Uomo e Natura, sulle diverse tradizioni socio-culturali e sui miti che spesso abitano quelle aree del Pianeta con presenza di vulcani attivi. In uno dei suoi “classici” commenti, che accompagnano Into the Inferno Herzog dice: “È bello che [i vulcani] siano qui. Il terreno su cui stiamo camminando non è permanente, non c’è permanenza in ciò che stiamo facendo, non c’è permanenza negli sforzi degli esseri umani, non c’è permanenza nell’arte, non c’è permanenza nella scienza… È difficile distogliere lo sguardo dal fuoco che arde in profondità sotto i nostri piedi, ovunque, sotto la crosta dei continenti e dei fondali marini. È un fuoco che vuole scoppiare e non gliene frega niente di quello che stiamo facendo quassù. Questa massa bollente è assolutamente indifferente agli scarafaggi veloci, ai rettili ritardati e agli insulsi esseri umani.” Per Herzog, il nostro posto nell'Universo è dunque quanto mai insignificante.
E la stessa mancanza di “permanenza” o l’estenuante duello che Uomo e Natura combattono ce l’ha ben raccontata la storia di questo articolo: Erebus e Terror, due navi sul fondo dei mari artici, due vulcani in Antartide, due nomi che, da un Polo all’altro, appaiono destinati a durare nel nostro immaginario ancora a lungo.
Foto 6. Il regista W. Herzog sul ciglio del cratere del Mt.Erebus durante le riprese di “Encounters at the End of the World” (da imbd.com).
Bibliografia
- Sims et al. (2020). Mount Erebus Volcano: An Exceptional Natural Laboratory for Studying Alkaline Magmatism and Open-Conduit Volcano Behavior. In: Volcanism in Antarctica: 200 Million Years of Subduction, Rifting and Continental Break-Up. Geological Society of London Memoir, 2021
- NASA Visible Earth: a catalog of NASA images and animations of our home planet
- “Encounters at the End of the World”, a Werner Herzog’s movie (2007): prima uscita in USA e Italia, 2008; nominato agli Oscar – 81 edizione nella categoria “Miglior Documentario”.
- “Into the Inferno”, a Werner Herzog’s movie (2016): prima uscita 3 Settembre 2016 al Telluride Film Festival; nominato agli Emmy Awards 2017 nella categoria “News & Documentary”.