Ercolano come Pompei - Grandi o piccoli progetti, enormi fallimenti
a cura di Lisetta Giacomelli
Chiunque abbia avuto a che fare con Ercolano, a qualsiasi titolo, conosce la storia di Charles Waldstein, l’archeologo inglese che, all’inizio del ‘900, si mise in testa di considerare il sito un bene non solo italiano, ma di tutta l’umanità e di chiedere la ripresa dello scavo con il concorso dei paesi europei e degli Stati Uniti. Soprattutto chiedeva, oltre a una partecipazione economica, una “collaborazione scientifica di tutta la fratellanza internazionale”. Tanto si adoperò per la riuscita dell’iniziativa e tanto se ne rammaricò per il fallimento, che trascinò la delusione fino all’ultimo giorno della sua vita. Lo stesso Amedeo Maiuri si sentì in dovere di ricompensarlo, post mortem, nel 1927, donando alla vedova un vaso pompeiano per contenerne le ceneri.
Leggere il suo racconto è come accompagnarlo in un viaggio kafkiano. Liberamente tradotto nelle sue parti essenziali da Herculaneum, Past Present and Future, 1908, un volume dedicato a “Arrigo Boito, poeta e musicista, patriota e cittadino del mondo”, il fallimento di Waldstein porta a concludere che se non ci è riuscito lui, con la sua competenza, quelle conoscenze, con l’entusiasmo profuso correndo da un ufficio a un ministero, da un re a un ambasciatore, difficilmente qualcun altro riuscirà a scalfire il clima di rivalità, sospetto, invidie che si celano sotto le pomici e le ceneri del Vesuvio. Da secoli.
27 dicembre 1903 – Ho inviato a Sua Maestà (Edoardo VII) uno schema del mio piano, chiedendo se fosse possibile essere ricevuto nel caso in cui desiderasse ulteriori dettagli.
28 dicembre 1903 – Ricevo una lettera di Lord Knollys (segretario privato del re) che mi esprime l’interesse del Re. Un ulteriore esame del progetto necessita della valutazione del costo dell’operazione e del benestare del Governo italiano.
Marzo 1904 – Con l’appoggio ufficiale del Foreign Office, incontro a Firenze l’ambasciatore Sir Francis Bertie e il Senatore marchese Vitelleschi, cui espongo la mia idea e dai quali ricevo piena adesione e consigli.
12-17 aprile 1904 – A Napoli incontro il Console Generale Mr Neville Rolfe e ottengo grande sostegno dal Direttore del Museo e degli scavi di Pompei, Prof. Pais, e dal Prof. Mercalli per quanto riguarda la geologia del Vesuvio e di Ercolano. Dopo un accurato studio del sito, si conviene che l’impegno per il proseguimento degli scavi non può essere inferiore a £ 40.000 annue.
18 aprile 1904 – Introdotto dall’Ambasciatore inglese e dal maestro di camera Conte Gianotti, sono ricevuto dal Re Vittorio Emanuele che esprime profondo interesse e dimostra di conoscere a fondo l’argomento, anche se non nasconde le difficoltà nella realizzazione del progetto. È comunque necessario il parere del Presidente del Consiglio, Signor Giolitti, e del Ministro della Pubblica Istruzione, Signor Orlando. Di fronte alla mia domanda se potevo rendere pubblico il parere positivo di Sua Maestà, la risposta fu no. Essendo una monarchia costituzionale, il suo assenso era vincolato a quello del Presidente del Consiglio, al quale avrebbe comunque anticipato il contenuto del progetto.
19 aprile 1904 – Incontro a Palazzo Braschi il Presidente del Consiglio, al quale illustro il mio programma che dimostra di conoscere già. Mi informa che sarà difficile inserire in breve tempo nel calendario dei lavori l’esame della richiesta per l’autorizzazione. Chiedo se mi è consentito rendere noto il suo parere favorevole al progetto. Si, posso farlo, ma dopo il consenso del suo collega, Signor Orlando, Ministro della Pubblica Istruzione, al quale mi raccomanda con una lettera.
21 aprile 1904 – Incontro il Signor Orlando presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Subito approva l’iniziativa senza riserve. Non servono permessi e i lavori possono cominciare al più presto. Faccio osservare che, benché la sua parola sia una garanzia, perché io possa organizzare i comitati internazionali e avviare la raccolta di fondi, necessito anche di un’autorizzazione formale, specie nell’eventualità futura in cui il governo dovesse cambiare. Inoltre, il Ministro acconsente che la notizia venga divulgata sulla stampa, suggerendo che sarebbe più opportuno si trattasse di quella estera, per evitare equivoci e contestazioni da parte dei giornali italiani. Il consenso ufficiale mi perviene il giorno successivo, accompagnato da parole di grande encomio.
23 aprile 1904 – Un breve resoconto degli obiettivi e dell’autorizzazione ottenuta viene pubblicato dal Times.
30 giugno 1904 – A Parigi raccolgo adesioni al progetto dalle maggiori personalità europee e vengo ricevuto all’Eliseo dal Presidente Loubet che accetta il ruolo di Presidente Onorario del futuro comitato francese. Informo il Signor Orlando dei primi successi e dell’intenzione di andare in Germania e Austria per organizzare altri comitati. Chiedo di poterci incontrare per definire il programma, ma non ricevo risposta.
5 agosto 1904 – Presentato dall’Ambasciatore tedesco a Londra, Conte Paul Metternich, e dal Conte Seckendorff, espongo il mio piano al Cancelliere tedesco, Principe Bulow, che mi assicura completo appoggio personale e la sua raccomandazione presso l’Imperatore.
13 agosto 1904 – Ricevo una lettera dal Cancelliere Bulow che conferma l’interesse per il progetto e mi informa che non sarà possibile vedere l’Imperatore prima del 2 settembre. Accetta la presidenza onoraria del comitato tedesco e sollecita anche una partecipazione attiva di un principe. L’appoggio è confermato in una successiva lettera del Cancelliere il 13 settembre.
13 dicembre 1904 – Presentazione ufficiale del piano alla Royal Academy of Arts, Burlington House, alla presenza di autorevoli rappresentanti di ogni nazione, Italia inclusa, con l’Ambasciatore, Signor Pansa e il Segretario dell’Ambasciata. L’Ambasciatore si era offerto di diffondere gli inviti alla stampa italiana per la partecipazione all’incontro attraverso l’inviato di uno dei giornali più importanti che poi avrebbe allargato la convocazione agli altri. Purtroppo, il primo destinatario dell’invito aveva nel frattempo cambiato indirizzo e la missiva gli pervenne a presentazione avvenuta.
14 dicembre 1904 – Partenza per gli USA per organizzare il comitato americano.
17 dicembre 1904 – Sotto l’egida dell’American Institute of Archaeology, espongo il piano a un pubblico competente, ospite in una casa privata.
28 dicembre 1904 – Relazione alla Casa Bianca, alla presenza del Presidente Theodore Roosevelt che accetta di essere Presidente Onorario del comitato americano.
1 gennaio 1905 – Giunge all’Ambasciatore italiano a Washington un telegramma in cui il Governo italiano, riprendendo notizie diffuse dai giornali, riconosceva che era stato espresso alla geniale idea di scavi internazionali a Ercolano un parere di massima favorevole, da parte del Ministro Orlando, ma negava di aver mai ricevuto un piano definitivo. Pertanto, non esisteva nessun impegno da parte del governo che si riservava piena libertà di azione.
2 gennaio – Alla mia richiesta di chiarimenti, prima di una conferenza prevista per il 3 gennaio dove, alla luce di questa notizia, avrei potuto passare per bugiardo impostore davanti al mondo, il Ministro Orlando telegrafa “provvederò con istruzioni nostro rappresentante perché sia chiarita situazione fatti”.
11 gennaio 1905– Ritorno in Inghilterra. Nella posta, trovo lettere e giornali, inglesi e italiani, che travisano completamente le mie intenzioni. I giornali italiani congetturano l’esistenza di una Società Americana Waldstein & Co, una specie di impresa commerciale, costituita per trarre profitto dalle scoperte di Ercolano. Lettere con attacchi invidiosi e rancorosi erano apparse sul Times anche il 7 gennaio.
18 gennaio 1905– Incontro a Londra l’Ambasciatore italiano, il quale mi mostra una lettera del Ministro Orlando, dai toni rassicuranti e mi promette che avrebbe inoltrato a Roma un mio resoconto su quanto stavo facendo e su quanto avevo intenzione di fare in futuro. I malintesi sollevati dalla pubblicità data al progetto e dalla campagna di stampa si sarebbero appianati. Provvedo nello stesso giorno a redigere una dettagliata relazione per il Ministro e a scrivere ai giornali per convincerli della bontà e ragionevolezza delle mie intenzioni.
Una netta presa di posizione del Ministro in Parlamento avrebbe risolto ogni problema. Non solo non lo fece, anzi, peggiorò la situazione. Nel suo discorso alla Camera puntualizzò che dopo un incontro informale nell’aprile 1904, non ebbe altri contatti, ne’ ricevette un piano concreto, che pertanto non poteva essere stato approvato. Alla fine del suo discorso disse che il Governo “si compiace del tributo di amore allo studio del nostro glorioso passato (…) ma non intende limitare i suoi diritti di impero (…) e pertanto questi scavi non potranno essere fatti che secondo le leggi italiane, sotto la vigilanza delle autorità italiane e secondo un potere discrezionale e sovrano che non consente cessioni o limitazioni senza lesioni della nostra dignità nazionale”.
28 marzo 1905 – Il Times pubblica una mia lunga lettera in cui, oltre a ribadire le ragioni della mia impresa, preciso che le prime parole con cui mi sono presentato al Ministro Orlando furono “non è una questione di scavi stranieri in Italia, ma dell’unione di tutte le nazioni per cooperare con l’Italia nello scavo internazionale di Ercolano”. Sono però costretto a chiedere a Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti, Austria, Svezia e altri paesi desiderosi di cooperare, di sospendere ogni iniziativa fino a che non avrò certezza che il Governo italiano, il popolo italiano, gli archeologi italiani non solo acconsentano, ma condividano l’idea di uno scavo internazionale a Ercolano.
2 luglio 1905 – Dopo la caduta del governo Giolitti, avvenuta il 16 marzo, l’ambasciatore italiano a Londra, Signor Pansa, in risposta a una mia richiesta del 16 maggio, mi informa che il Ministro della Pubblica Istruzione prima di ogni decisione dovrà sentire il parere della Commissione Centrale delle Antichità e Belle Arti.
2 dicembre 1905 - Nella riunione della Commissione Centrale di Antichità e Belle Arti, la mia proposta di collaborazione internazionale attraverso comitati internazionali qualificati venne accettata con sette voti contro quattro. A favore si espressero Boito, Bernabei, De Petra, Gherardini, Brizzoni, Loewy, Milani; contrari Primo Levi, Ojetti, Ricci, Venturi. Ne fui informato alcuni mesi dopo.
5 gennaio 1906 – Attraverso l’Ambasciata inglese a Roma e quella italiana a Londra chiedo, dovendo recarmi a Roma, di poter incontrare il Ministro della Pubblica Istruzione, Signor Leonardo Bianchi, al fine di decidere se portare avanti il progetto o abbandonarlo definitivamente.
19 marzo 1906 – L’ambasciata italiana, in risposta alla mia richiesta inoltrata due giorni prima, mi fa sapere che esula dalle loro funzioni esercitare ulteriori pressioni perché possa essere ricevuto dalle autorità italiane.
28 marzo 1906 – Una nota da Roma mi informa che il Ministro, pur essendo ben disposto a ricevermi, non poteva impegnarsi a dare alla questione una soluzione definitiva. Anzi temeva che il mio viaggio potesse essere inutile. Dello stesso tono una lettera del 20 aprile dell’Ambasciatore italiano a Londra.
Agosto 1906 – Contatto il Ministro degli Esteri, Signor Tittoni, col quale fisso un appuntamento a Roma per il 15 settembre, cui dovrebbero partecipare anche il Ministro della Pubblica Istruzione, Signor Rava e il Direttore di Antichità e Belle Arti, Signor Corrado Ricci.
15 settembre 1906– Giungo a Roma, ma il Ministro Signor Rava deve recarsi a Milano per impegni istituzionali. Il colloquio con il Ministro Tittoni ebbe un buon esito, nonostante la precisazione che la decisione finale non era di sua competenza, ma che si sarebbe adoperato per la conclusione di un piano che trovava di grande valore.
15 settembre 1906– Raggiungo Milano, ma il Ministro Rava è rientrato a Roma.
17 settembre 1906 – La stampa italiana (Corriere della Sera, Giornale d’Italia, Tribuna) e quella svizzera, modificando il loro precedente giudizio, condividono senza riserve il piano di intervento internazionale, definendolo “noble and great ideas”. Una mia lunga intervista rilasciata a E. Janni è pubblicata dal Corriere della Sera il 22 settembre.
10 novembre 1906– Voto unanime della Commissione Centrale delle Antichità e Belle Arti a favore del progetto. Le condizioni poste erano
-che i fondi fossero di provenienza privata senza interventi ufficiali dei paesi stranieri;
-che i fondi fossero amministrati da un comitato internazionale con sede in Roma, Presidente Onorario il Re e un Presidente effettivo di nomina reale;
-che il comitato esecutivo dello scavo fosse composto da egual numero di membri italiani e stranieri, in entrambi i casi a nomina del Re, su segnalazione del Ministro della Pubblica Istruzione;
-che le pubblicazioni fossero proprietà del Governo italiano che se ne assumeva la spesa;
-che i membri stranieri del comitato potessero, sotto la responsabilità del loro presidente e con adeguata tutela, consentire a studenti della loro nazionalità di essere presenti allo scavo;
-che i reperti restassero tutti di proprietà dello Stato italiano, anche se si potevano prevedere elargizioni di reperti rinvenuti in duplicato ai paesi maggiormente contribuenti all’opera, purché non avvenisse a danno delle collezioni nazionali.
L’ultimo punto era oltre ogni vincolo avanzato nella mia proposta, che prevedeva il divieto per qualsiasi oggetto recuperato di lasciare l’Italia, ma mi apparve una grande opportunità per il reperimento di fondi, in cambio di un arricchimento delle dotazioni di alcuni musei stranieri e una facilitazione per l’accesso a importante materiale di studio.
5 dicembre 1906 – Pranzo offerto dall’Ambasciatore italiano a Londra per celebrare il successo dell’iniziativa. Mi viene rassicurato che la mancata autorizzazione ufficiale è dovuta a un normale ritardo burocratico e che sarei stato rapidamente informato dell’accordo.
19 febbraio 1907 – Le mie continue richieste di un pronunciamento ufficiale restano senza esito. Sulla Tribuna di Roma, una lettera del Commendatore Boni, a me indirizzata, considerava la mia proposta un’invasione e mi accusava di attentare all’onore dell’Italia. La lettera, basata su assurdi malintesi, ottenne lo scopo di rovesciare, in pochi giorni, ogni valutazione favorevole al progetto.
27 aprile 1907 – Con notevole ritardo, rispetto alle notizie riportate dalla stampa, ricevo Da Corrado Ricci, direttore Generale delle Antichità e Belle Arti, la conferma ufficiale: nessun aiuto materiale o diretta cooperazione internazionale sarebbe stata accettata. Il governo italiano aveva deciso di riprendere gli scavi di Ercolano con i soli propri mezzi. Anzi, il sottosegretario alla Pubblica Istruzione, Onorevole Giuffelli, nella seduta del 24 aprile alla Camera, precisa che ritiene “non sia ora necessario intraprendere sopra vasta scala questi scavi”.
Sarebbero stati accettati consigli da me o da altre personalità straniere, ma il lavoro restava interamente in mano agli esperti italiani. Furono assegnati agli scavi 15.000 franchi (£ 600 o $ 3.000).
We sincerely wish all success to our Italian confrères.
Charles Waldstein
SLADE PROFESSOR OF FINE ARTS IN THE UNIVERSITY AND FELLOW OF KING’S COLLEGE CAMBRIDGE
LATE READER IN CLASSICAL ARCHAEOLOGY AND DIRECTOR OF THE FITZWILLIAM MUSEUM CAMBRIDGE
FORMERLY DIRECTOR OF THE AMERICAN SCHOOL OF ARCHAEOLOGY ATHENSAUTHOR OF ESSAYS ON THE ART OF PHEIDIAS THE ARGIVE HERAEUM ETC.
Il lungo elenco di date, peraltro ridimensionato rispetto all’originale, non consente, ma nemmeno necessita, di un commento. Dopo un’introduzione di 51 pagine, il volume di Waldstein è completato da una parte archeologica e da un’appendice di 69 pagine con la trascrizione di tutte le lettere spedite, con dettagliati chiarimenti e progetti, e di quelle ricevute, piene di lodi e di entusiastiche parole. Fino a un certo punto. Poi, come un castello di carta, l’iniziativa crolla improvvisamente, sepolta dall’orgoglio nazionale italiano. Non è compito di oggi intravedere tra le parti in gioco dove vi fosse buona o cattiva fede. Quel che è certo è che in quel caso la stampa ebbe il potere di rovesciare opinioni già espresse, riuscì a ribaltare decisioni di grande importanza e a condizionare scelte che potevano avere un significato importante sulla sorte degli scavi archeologici e della vita culturale del nostro paese. O, forse, fu la spinta finale alla continua oscillazione tra entusiasmi che nascondevano indecisioni e promesse fatte per guadagnare tempo, frequenti negli ambiti politici e, ancor peggio, anche tra uomini di cultura e di scienza.